Storie dal Gioiello di Galileo
In un libro curiosità e segreti dello scienziato nella sua ultima dimora che ora riapre al pubblico Nello studio c’erano 400 volumi, la vigna la curava lui e dalla finestra vedeva il convento delle figlie
Non è e non sarà solo questione di vedere una bella villa cinquecentesca nell’impianto (anche se la sua costruzione risale al primo ventennio del XV secolo). La decisione dell’Università di Firenze di aprire Villa Il Gioiello alle visite guidate (dalle 9 alle 13 1 e 2 luglio, 8 e 9 luglio e, a settembre, il 2 e il 3, il 9 e 10, il 16 e il 17) è occasione per fare un viaggio immersivo in una sorta di sacrario della scienza. Dove l’eco delle giornate qui trascorse da Galileo dal 1631 alla sua morte nel 1642 — in una sorta di confino dorato dopo il 1633 quando fu costretto all’abiura dal Sant’Uffizio per aver sposato le teorie copernicane nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo – è vivissimo.
Chi andrà non potrà non sentire i suoi passi e vedere le sue macchie solari, i «suoi» satelliti che circondando Giove, le «sue» librazioni lunari, non potrà non udire quello stesso latrato dei cani e godere di quei lunghi silenzi e di quelle intuizioni. Non è questione di suggestione, e i monitor touch screen che della villa e del soggiorno galileiano ricostruiscono la storia ve lo riveleranno, ce n’è anche uno in cui sarà possibile scorrere a parete le pagine dei suoi scritti. Allo stesso modo vi rivelerà la consistenza degli 11 anni durante i quali Galilei animò queste stanze, un prezioso volume (in inglese e italiano): s’intitola La Villa di Galileo in Arcetri, è in uscita per la Florence University Press ed è a cura di Antonio Godoli (che della villa ha curato il restauro nel 2004), Francesco Palla, ex direttore dell’Osservatorio di Arcetri, scomparso lo scorso anno e Alberto Righini, astronomo e studioso di Galilei. Una tripletta vincente a giudicare da quanto vi si legge. Questione di fonti e di curiosità anche perché ci spiega Godoli: «Già la finalità del restauro stava nella stato facile per lo scienziato vivere su ad Arcetri ma è certo che, per la speciale stima di cui godeva, i suoi ultimi anni furono costellati di studi e di incontri. La casa, che si sviluppava su due piani, si apriva su una grande sala di rappresentanza, seguiva una camera da letto e dunque una sala da pranzo con un grande tavolo in noce. La camera da letto dello scienziato arrivava subito dopo la cucina e aveva una finestra da cui lui poteva scorgere il convento delle figlie. Infine arrivava il suo studio che, raccontano le fonti, soprattutto quanto scritto dal suo discepolo Vincenzo Viviani, era colmo di 400 volumi affastellati intorno alla sua scrivania. Al piano di sopra viveva la domestica Piera insieme con il padre a cui erano riservati i lavori di fatica. E ancora in alto c’era la terrazza delle sue «osservazioni» La piccionaia e il pollaio fornivano le carni, l’orto produceva le verdure e la vigna, curata da Galileo, l’ottima Verdea di Arcetri. Che Galileo amasse bere spesso un buon bicchiere di vino era cosa più che nota.
Fu il figlio Vincenzo, alla morte di Galileo, a stilare l’inventario di quanto era rimasto in quella dimora: ed è grazie a lui che scopriamo che in cantina: «erano rimasti sei barili di vino e diciotto fiaschi, quattro fiaschi di olio, due “some” di legna, della brace e cento fascine. In casa c’erano 80 scudi in contanti e in banca 5000 scudi di cui 500 vincolati per la rendita stabilita da Galileo per la figlia Livia (suor Arcangela). Gran parte dell’arredamento fu venduto per un importo complessivo di lire 446,10 equivalenti a circa 60 scudi». Anche la biancheria di casa era molto semplice: «sei paia di lenzuoli usurati e sei paia di lenzuoli buoni, otto tovaglie per la tavola da padrone, otto tovaglie da cucina, dieci asciugamani, venti canovacci e sei federe». Cose così che danno forma vivida alla presenza dello scienziato e dell’uomo.
Una presenza che, negli ultimi anni di vita, fu accompagnata da due suoi più illustri allievi. Quel Vincenzo Viviani che sarebbe stato il suo biografo più attento stilando il Racconto istorico della vita di Galileo e che, col suo lascito, avrebbe contribuito alla realizzazione della tomba del maestro in Santa Croce e quell’altro, quell’Evangelista Torricelli che, in fondo, sarebbe stato sempre il preferito di Galileo. Fu anche per intercessione del suo illustre maestro — e se ne trova traccia in una lettera — se nel febbraio del 1642 fu proposta al Granduca Principe Leopoldo, la nomina, per Torricelli, alla lettura di matematiche nell’Accademia Fiorentina con un salario di 200 piastre. Una staffetta, maestro discepolo.