Corriere Fiorentino

Nella guazza del mattino

Sette racconti per «L’Agenda ritrovata», un volume corale omaggio a Paolo Borsellino Pubblichia­mo uno stralcio di quello scritto da Vanni Santoni, con due ragazzi e una scoperta...

- di Vanni Santoni

Il filo rosso è un’agenda rossa. Quella mai più ritrovata di Paolo Borsellino, scomparsa, con lui, il 19 luglio del ‘92 quando il giudice con la sua scorta saltò in aria in via D’Amelio, a Palermo. Una traccia, questa, che unisce i sette racconti de L’agenda ritrovata, il libro corale, appena uscito per Feltrinell­i, in cui Helena Janeczek, Carlo Lucarelli, Vanni Santoni, Alessandro Leogrande, Diego De Silva, Gioacchino Criaco ed Evelina Santangelo compongono ciascuno la propria storia per provare a tirare le somme su dove è andata l’Italia nei 25 anni dalle stragi. Dove si è inabissata, come l’agenda del giudice e dove ha tirato fuori la testa. Qui pubblichia­mo uno stralcio de La solitudine della verità, il racconto di Vanni Santoni.

Mmm… Aspetta, Valde. Là sotto c’è qualcosa.

Sì, un mostro. Di cemento. (...)

Penso sia l’inizio di un residence. Tipo il primo edificio. Ma non l’hanno mai finito, e l’hanno lasciato lì. Andiamo giù? E andiamo giù… Scendono, nella guazza del mattino che si annuncia, dell’alba che pian piano monta davvero, col blu scuro che si fa viola e cobalto e gli stracci di nebbia appesi agli abeti sull’altro crinale… Secondo me comunque di là da quel crinale c’è il canalone. E i sound. (...) Guardiamo là dentro cosa c’è? Ovvio che guardiamo. Perché hai già deciso, o no?

Così entrano nell’enorme edificio asimmetric­o, scaleno, di cemento grezzo, tagliato solo da rade scritte in basso, neanche graffiti, solo scritte a bomboletta: «Purple Korps 84», «Gruppo Morfa», «Isi ti amo» con sotto un «Io no» a pennello e intonaco, aspetta, dice Valde, ho la lucetta… Ora lo dici? Eh, mi ero dimenticat­o, con la botta che abbiamo…

La accende, se la monta sulla testa. La prima cosa che appare è un frigorifer­o: Guardiamo se c’è qualcosa da bere? (...) Illumina qua. Dove, lì? Ah, bigbags. Bigbags? Sacchi industrial­i. Sai, ogni tanto lavoro con mio zio, ha un’azienda edile… Na sbatta orrenda, guarda (…)

Sotto quella terra. Guarda, dice Caterina tirando su un ondulato. Figa, quello è eternit. Eternit? Sì, amianto, fai conto. E questo, dice Valde tirando fuori una travicella aL, è alluminio anodizzato. Quindi è tipo una discarica? Ora, discarica… È un mucchiazzo di robaccia, dai. Abusivo però. Abusivo il mucchio, abusivo l’edificio, abusivi noi…

Andiamo di là, dice Cate indicando un varco nel cemento. E andiamo di là… Strano, no che il pavimento sia di terra?

Figa, sembra di essere in Stalker… Cos’è? Ma niente, un film… Secondo me qua sotto c’è qualcosa. Hanno fatto una buca, poi l’hanno coperta… Eh? Dico, penso che sta rena l’abbiano messa per coprire qualcosa. Rena? Si, insomma, sabbia, com’è che dite da voi…

Risate, a scrosci e scoppi, ma Caterina si ferma. C’è qualcosa che non la fa ridere. E non è solo ciò che intuisce essere sepolto lì sotto. Accende il cellulare per fare un po’ di luce, si fa strada nel vano sulla sinistra. Una stanza lunga, dal soffitto basso, forse la parte che sarebbe diventata la zona ripostigli, o quella per le caldaie, chissà. Un cerchio di nerofumo. Resti neri, spessi, unti, in mezzo, resti di tessuto bruciato. Cos’è che hai trovato? Non so… Tipo un cerchio. Di bruciato. Illumina qui.

Eh, magari i rifiuti li bruciavano pure… Anche se, certo, sarebbe più logico farlo fuori.

Guarda, c’è una vanga. Lì sotto, in quel buco.

Senza il manico non è una vanga, dice Valde abbassando la testa per entrare a sua volta. È la lama di una vanga.

Vabbe’, scavare scava pure questa.

Scavare? Cos’è che vuoi scavare?

La rena. Cioè, la sabbia. Vedere cosa c’è. E tu mi dai mano…

Se ne giro una prima? Guardiamo l’alba. Poi scaviamo.

(...) Se sapevo che mi portavi qua a far lavori pesanti, prendevo due pezzi di speed…

Vero? Dice Caterina guardando il taglio della via lattea sopra di loro, il suo vorticare e buttare fuori stelle.

Ho visto dei tedeschi che avevano una palla grande come un pompelmo. Potevi prenderne un po’! Ho della ketch… Seh, e poi chi scava? No, no. Ora scaviamo. Poi dopo, magari… Bottarella? Eh. Ma prima andiamo a scavare.

E scavano, Caterina e Valde, con la lama della vanga e con una tegola presa dal mucchio stesso, e, tolti un paio di strati di ondulato sotto la sabbia, e ancora sabbia – Siamo troppo svarionati a metterci a fare una sbatta del genere – alla fine è proprio Valde a toccare qualcosa. A beccare un bordo metallico.

Il bordo di un bidone! (...) Guarda, dice Caterina, e lo pulisce con la mano fino a farne uscire il cerchio, il bordo doppio, sigillato, di lamiera dipinta di verde, la vernice già scrostata e in più punti mangiata dalla ruggine…

Sì, ma ferma. Valde le prende la mano. Cosa? Potrebbe essere roba velenosa. (...) Va detto che qua c’è una discarica abusiva di chissà cosa.

Magari è radioattiv­o. Meglio se usciamo proprio. Già che magari ci siamo respirati l’eternit.

Ora non ti imparanoia­re. Radioattiv­o magari no, ma tossico… Che dici, Valde, lo apriamo?

Tu stai fuori. Abbiamo scavato…

Ora, scavato. Estraiamon­e almeno un paio.

Un paio di cosa? Di bidoni? (...) Così isolano il bidone. Vernice verde, marchi nessuno, ruggine molta. Di tirarlo fuori però non c’è verso, troppo infitto ancora nella terra.

Dai usciamo da qua. Magari è esplosivo.

Addirittur­a! Ti facevo più coraggioso…

 Potrebbe essere roba velenosa. Magari è radioattiv­o Meglio se usciamo proprio Già che magari ci siamo respirati l’eternit Ora non ti imparanoia­re Radioattiv­o magari no, ma tossico…

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