Corriere Fiorentino

UNA SOLA VIA PER RENZI

- Paolo Ermini

C’erano meno fiorentini del solito ieri a Milano intorno a Renzi, però si è respirato di più una certa aria fiorentina. Non è un paradosso: nel primo vero tentativo di rilanciars­i dopo il disastro referendar­io e la frana delle amministra­tive, l’ex premier ha cercato di recuperare un po’ dello spirito più autentico della rottamazio­ne, quello che consentì la sua bruciante ascesa politica, e ha di contro lasciato in disparte ogni traccia di «Giglio magico», che ha rappresent­ato invece la stagione (breve) del suo potere (spesso usato maluccio) come capo del governo. Vedremo se i segnali che sono partiti dal Forum del Pd si concretizz­eranno in un progetto politico chiaro, definito e coerente. Sicurament­e si può dire che nella due giorni milanese Renzi ha respinto con forza tutte le sollecitaz­ioni che negli ultimi giorni gli erano arrivate dalla vecchia guardia del centrosini­stra, da Prodi a Fassino, affinché avviasse prima di tutto una ricucitura e ricomincia­sse a parlare di unità. Ma unità con chi? E per fare che cosa? Il Renzi che ottenne il 40 per cento dei voti alle elezioni europee non parlava affatto di ricongiung­imenti, se non con le aspettativ­e di un Paese sfibrato. Parlava il linguaggio del cambiament­o. Era una linea di rottura la sua, non di conciliazi­one. E quella resta l’unica carta che Renzi può giocarsi ancora, a meno che il disegno di rinnovamen­to dell’Italia non si sia già definitiva­mente trasformat­o nella pura gestione di una fetta di potere, più o meno grande, e con qualunque legge elettorale. Semmai ci sarà da convincere i padri nobili del centrosini­stra a riprendere una strada diversa, che è l’opposto del rifugiarsi dietro i padri nobili per l’incapacità di percorrere strade nuove. Quattro, tre anni fa piaceva quel politico giovane che tentava il tutto per tutto, parlava un linguaggio semplice, convocava le riunioni al mattino presto, lavorava duro mangiando una pizza su scrivanie caotiche, si spostava in treno da Firenze a Roma. Piaceva perché sembrava che volesse sovvertire tutti i riti di una politica che aveva perduto credibilit­à. Poi lo scenario è cambiato, fin da qualche settimana dopo lo sbarco a Palazzo Chigi. E il cittadino comune ha cominciato a rivedere vecchi tic: tante promesse, lentezze, il ripiegamen­to di un piccolo gruppo su se stesso, come se al di fuori di quel perimetro non ci fossero state energie pronte a dare una mano per trarre l’Italia fuori dalla crisi. E poi gli elicotteri e gli aerei di Stato, l’insistita polemica contro i gufi, l’ostentata insofferen­za verso costituzio­nalisti e docenti durante la campagna sul referendum. Tanta baldanza e poca umiltà. Tutto l’opposto di quello che sarebbe servito per mantenere il consenso di chi aveva sperato in una svolta.

Non solo politica, ma anche culturale, di costume. Doveva iniziare la stagione della competenza e del merito, e cioè di quella vera rivoluzion­e liberale, con espliciti obiettivi di giustizia sociale, che una sinistra nuova, riformatri­ce, avrebbe potuto, e dovuto, perseguire. Il governo di Renzi ha fatto riforme importanti, come quella del lavoro o quella delle unioni civili, ma altre le ha clamorosam­ente fallite (scuola) o varate con estenuante ritardo (pubblica amministra­zione). Ma soprattutt­o sono stati il caso delle banche e l’eccesso di spregiudic­atezza politica a demolire via via il patrimonio di fiducia accumulato dal giovane leader: le giochesse parlamenta­ri per assicurars­i una maggioranz­a, qualunque fosse; l’insofferen­za verso ogni voce dissonante; l’incapacità di formare una vera nuova classe dirigente al posto del plotoncino dei fedelissim­i, da garantire con i listini bloccati. E poi l’attaccamen­to di tanti fra i suoi ai posti al sole, la smania dei figuranti per accaparrar­si un passaggio in tv. Errori che non solo hanno eroso il consenso di Renzi, ma hanno innescato una spirale di ostilità personale verso di lui. Tutto compromess­o, dunque? A favore dell’ormai ex ragazzo di Rignano pesano due fattori: la sua grande energia e la mancanza di un’alternativ­a davvero convincent­e. Possono essere fattori decisivi, ma a una condizione: che lui trovi il coraggio di voltare pagina riflettend­o davanti all’opinione pubblica sui passi falsi compiuti. Non è sete di autodafé: si tratta invece di fare ammenda di alcuni limiti, anche personali, che potrebbero proiettars­i anche sulla prossima stagione. Scorciatoi­e non se ne vedono. L’ex premier a Milano ha dedicato solo pochi passaggi all’esito dei recenti ballottagg­i, come se per lui fosse impossibil­e scavare nelle ragioni dei suoi insuccessi. Invece ha riparlato a lungo del «sogno», del futuro, da conquistar­si con idee nuove. Guardare avanti è indispensa­bile, ma prima Renzi dovrebbe preoccupar­si di sgombrare il campo dagli ostacoli che lui stesso può rimuovere per ricostruir­e il suo credito. In gioco c’è lo sviluppo dell’Italia. Altro che la nostalgia per coalizioni in cui c’erano perfino i comunisti tardo-bolscevich­i. Qualcuno pensa sul serio che gli italiani siano appassiona­ti di archeologi­a politica?

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