UNA SOLA VIA PER RENZI
C’erano meno fiorentini del solito ieri a Milano intorno a Renzi, però si è respirato di più una certa aria fiorentina. Non è un paradosso: nel primo vero tentativo di rilanciarsi dopo il disastro referendario e la frana delle amministrative, l’ex premier ha cercato di recuperare un po’ dello spirito più autentico della rottamazione, quello che consentì la sua bruciante ascesa politica, e ha di contro lasciato in disparte ogni traccia di «Giglio magico», che ha rappresentato invece la stagione (breve) del suo potere (spesso usato maluccio) come capo del governo. Vedremo se i segnali che sono partiti dal Forum del Pd si concretizzeranno in un progetto politico chiaro, definito e coerente. Sicuramente si può dire che nella due giorni milanese Renzi ha respinto con forza tutte le sollecitazioni che negli ultimi giorni gli erano arrivate dalla vecchia guardia del centrosinistra, da Prodi a Fassino, affinché avviasse prima di tutto una ricucitura e ricominciasse a parlare di unità. Ma unità con chi? E per fare che cosa? Il Renzi che ottenne il 40 per cento dei voti alle elezioni europee non parlava affatto di ricongiungimenti, se non con le aspettative di un Paese sfibrato. Parlava il linguaggio del cambiamento. Era una linea di rottura la sua, non di conciliazione. E quella resta l’unica carta che Renzi può giocarsi ancora, a meno che il disegno di rinnovamento dell’Italia non si sia già definitivamente trasformato nella pura gestione di una fetta di potere, più o meno grande, e con qualunque legge elettorale. Semmai ci sarà da convincere i padri nobili del centrosinistra a riprendere una strada diversa, che è l’opposto del rifugiarsi dietro i padri nobili per l’incapacità di percorrere strade nuove. Quattro, tre anni fa piaceva quel politico giovane che tentava il tutto per tutto, parlava un linguaggio semplice, convocava le riunioni al mattino presto, lavorava duro mangiando una pizza su scrivanie caotiche, si spostava in treno da Firenze a Roma. Piaceva perché sembrava che volesse sovvertire tutti i riti di una politica che aveva perduto credibilità. Poi lo scenario è cambiato, fin da qualche settimana dopo lo sbarco a Palazzo Chigi. E il cittadino comune ha cominciato a rivedere vecchi tic: tante promesse, lentezze, il ripiegamento di un piccolo gruppo su se stesso, come se al di fuori di quel perimetro non ci fossero state energie pronte a dare una mano per trarre l’Italia fuori dalla crisi. E poi gli elicotteri e gli aerei di Stato, l’insistita polemica contro i gufi, l’ostentata insofferenza verso costituzionalisti e docenti durante la campagna sul referendum. Tanta baldanza e poca umiltà. Tutto l’opposto di quello che sarebbe servito per mantenere il consenso di chi aveva sperato in una svolta.
Non solo politica, ma anche culturale, di costume. Doveva iniziare la stagione della competenza e del merito, e cioè di quella vera rivoluzione liberale, con espliciti obiettivi di giustizia sociale, che una sinistra nuova, riformatrice, avrebbe potuto, e dovuto, perseguire. Il governo di Renzi ha fatto riforme importanti, come quella del lavoro o quella delle unioni civili, ma altre le ha clamorosamente fallite (scuola) o varate con estenuante ritardo (pubblica amministrazione). Ma soprattutto sono stati il caso delle banche e l’eccesso di spregiudicatezza politica a demolire via via il patrimonio di fiducia accumulato dal giovane leader: le giochesse parlamentari per assicurarsi una maggioranza, qualunque fosse; l’insofferenza verso ogni voce dissonante; l’incapacità di formare una vera nuova classe dirigente al posto del plotoncino dei fedelissimi, da garantire con i listini bloccati. E poi l’attaccamento di tanti fra i suoi ai posti al sole, la smania dei figuranti per accaparrarsi un passaggio in tv. Errori che non solo hanno eroso il consenso di Renzi, ma hanno innescato una spirale di ostilità personale verso di lui. Tutto compromesso, dunque? A favore dell’ormai ex ragazzo di Rignano pesano due fattori: la sua grande energia e la mancanza di un’alternativa davvero convincente. Possono essere fattori decisivi, ma a una condizione: che lui trovi il coraggio di voltare pagina riflettendo davanti all’opinione pubblica sui passi falsi compiuti. Non è sete di autodafé: si tratta invece di fare ammenda di alcuni limiti, anche personali, che potrebbero proiettarsi anche sulla prossima stagione. Scorciatoie non se ne vedono. L’ex premier a Milano ha dedicato solo pochi passaggi all’esito dei recenti ballottaggi, come se per lui fosse impossibile scavare nelle ragioni dei suoi insuccessi. Invece ha riparlato a lungo del «sogno», del futuro, da conquistarsi con idee nuove. Guardare avanti è indispensabile, ma prima Renzi dovrebbe preoccuparsi di sgombrare il campo dagli ostacoli che lui stesso può rimuovere per ricostruire il suo credito. In gioco c’è lo sviluppo dell’Italia. Altro che la nostalgia per coalizioni in cui c’erano perfino i comunisti tardo-bolscevichi. Qualcuno pensa sul serio che gli italiani siano appassionati di archeologia politica?