LE «TENDE» DEI DEMOCRATICI (E LA RISSA SE NON BASTANO)
Più ci avviciniamo alla prova del potere e più emergono le profonde contraddizioni del M5s. Tutto un gran parlare di meritocrazia, salvo poi scoprire che anche nel partito di Grillo prevale, piuttosto, la «mediocrazia» (come da titolo di un libro del filosofo canadese Alain Deneault). Al punto che viene da chiedersi se lo stesso M5s sopravvivrebbe mai a una società costruita a immagine e somiglianza dei propri codici di regolamentazione. Le dirette streaming (ricordate? Nel 2013 costarono una figuraccia a Bersani, che sperava di potersi accordare con i Cinquestelle per il governo) sono sparite e c’è chi come Max Bugani, un fotografo di Bologna diventato braccio destro del Casalgrillo (Grillo + Casaleggio), mette in discussione anche la norma cardine del limite dei due mandati. Per non parlare del rapporto con l’informazione. La libertà di stampa vale solo se i giornali si occupano degli altri, come dimostra il caso dell’incontro fra Matteo Salvini e Davide Casaleggio rivelato da Repubblica, smentito dal M5s e confermato dal quotidiano romano. In risposta all’articolo, il M5s ha chiesto le dimissioni del direttore Mario Calabresi. In vicende analoghe, quando le pubblicazioni riguardano politici del Pd, non c’è nessun attacco ai giornali, anzi.
Persino sullo ius soli, la legge per permettere a chi nasce in Italia di essere italiano, abbiamo assistito a robuste piroette grilline. «Basta buonismo», dice il M5s, rivelando di essere in aperta competizione con la Lega. E meno male che i Cinque Stelle erano quelli francescani. Il partito di Grillo non si fa mancare nulla, neanche arditi testacoda sulla giustizia. Appena due anni fa, il candidato premier in pectore Luigi Di Maio rilasciò un’intervista a La Stampa molto precisa sulla questione degli avvisi di garanzia. Basta essere indagato per non potersi più candidare?, chiedeva il giornalista. «Dipende dal tipo di reato. Se sei indagato per abuso d’ufficio sì. È un reato grave. Se sei indagato stai fermo un giro. Poi vediamo se la politica si decide ad accelerare i processi», rispose Di Maio. Nessuno nel M5s se lo ricorda più: oggi, per l’appunto, sono indagate Virginia Raggi (le indagini sono concluse e rischia la richiesta di rinvio a giudizio), Chiara Appendino e Filippo Nogarin, sindaco di Livorno. Il M5s, guarda caso, ha improvvisamente scoperto le gioie del garantismo.
Dopo la sconfitta alle amministrative, è cominciata la caccia aperta al segretario del Pd dentro il partito. Walter Veltroni su Repubblica spiega che Renzi «resta una risorsa» e quando cominciano a dirti che «sei una risorsa» significa che butta parecchio male. Dario Franceschini abbandona i romanzi e le sofisticate alchimie parlamentari per mettersi a twittare tabelle nelle quali si vede l’andamento del partito, tutt’altro che eccellente, a Genova, Parma, Verona e L’Aquila e dice che il Pd è «nato per unire il campo del centrosinistra non per dividerlo». Ma soprattutto Franceschini duella, cosa mai vista finora, con Luca Lotti, l’unico di cui Renzi si fidi davvero. Il ministro dello Sport aveva detto che non c’è alcun dibattito da fare sulla guida del Pd: Renzi è stato appena rieletto con le primarie. «Veramente la discussione è appena cominciata», ha ribattuto il ministro. Poi c’è Romano Prodi, che brandisce la ormai celebre «tenda» e la ripiega nello zaino, nell’attesa di rivolgersi altrove, anche se non si è capito bene dove. Ecco dunque il dibattito pubblico del centrosinistra, fra campeggi e «ti aspetto fuori». Ora, in questo paese dalla memoria storica di tre ore è tutto concesso, altrimenti sarebbe facile ricordare che coloro che oggi un po’ maramaldeggiano sono gli stessi che non hanno mai alzato mezzo sopracciglio. A proposito di memoria corta, Enrico Rossi dice che la sconfitta alle amministrative è stata «grave e diffusa. Il voto è stato locale, ma la responsabilità del risultato è nazionale: è tutta sulle spalle del partito renziano. Su noi di Articolo 1, invece, grava forse l’errore di non essere usciti prima, di non avere costruito in tempo un’alternativa a sinistra per tutti coloro, davvero tanti, che, proprio perché di sinistra, non possono riconoscersi più nel partito renziano». Ma Rossi, che è stato nel Pd fino a inizio anno, che faceva quando l’ex Toscana felix cominciava a perdere i suoi pezzi?
Veltroni dice che Renzi resta una risorsa ma quando cominciano a dirti così significa che butta male Non va meglio tra i grillini: più la prova del potere si avvicina e più emergono le loro contraddizioni