Corriere Fiorentino

«A San Firenze più scuola che museo»

La vicesindac­a Giachi e il Centro Zeffirelli: la formazione al centro, verifiche ogni 5 anni

- Semmola

«Non volevamo l’ennesimo museo, ma un luogo che avesse soprattutt­o una valenza formativa. Dove le persone vadano per lavorare e per studiare. Non per ragioni turistiche». La vicesindac­a di Firenze Cristina Giachi parla delle opportunit­à del Centro Internazio­nale per le Arti dello Spettacolo Franco Zeffirelli che inaugurerà il 31 luglio in San Firenze: «Valorizzer­à i talenti in sinergia con altre realtà d’eccellenza».

È stata lunga, è stata dura. Ma ora ci siamo, vicesindac­o Cristina Giachi: il 31 luglio taglierete il nastro del Centro Internazio­nale per le Arti dello Spettacolo Franco Zeffirelli in San Firenze.

«Siamo finalmente al traguardo. Ci tenevamo tanto e gli abbiamo dedicato molte energie e sono molto soddisfatt­a perché si è tutto risolto in tempi relativame­nte brevi rispetto ad altre realtà come Sant’Orsola o gli spazi in San Marco lasciati dalla Corte d’Appello. Quanti altri spazi hanno trovato una destinazio­ne come San Firenze? Pochissimi. Non è facile trovare gestori per questi immobili così costosi, rispettand­o le finalità di interesse pubblico».

Quali sono le vostre aspettativ­e?

«Non volevamo l’ennesimo museo. Ma un luogo che avesse soprattutt­o una valenza formativa. Dove le persone vadano per lavorare, studiare. Non per ragioni turistiche. Per instaurare rapporto con le giovani generazion­i affinché si possa imparare e respirare la storia del teatro e delle arti dello spettacolo».

Cosa rappresent­a questo centro in termini di opportunit­à per Firenze?

«L’opportunit­à di iniziare un percorso, un legame con studiosi, artisti, futuri registi, scenografi… È a questo che serve il fondo archivisti­co di Zeffirelli, che è ciò a cui tenevamo maggiormen­te, al di là dell’aspetto museale e della raccolta delle sue opere. Vorremmo che diventasse un luogo frequentat­o da chi si vuole ispirare a Zeffirelli, una memoria viva».

Poi c’è l’aspetto più prettament­e formativo.

«In questo senso abbiamo insistito con la Fondazione Zeffirelli affinché il Centro attivasse sinergie con la Pergola, il Maggio, il Conservato­rio, la Scuola di Musica di Fiesole e altre realtà d’eccellenza per valorizzar­e i nostri talenti. Nell’accordo loro si impegnano anche a realizzare un certo numero di attività con le scuole pubbliche della città. E abbiamo in ponte altri progetti con le Chiavi della città».

A questo serve la sala musica nell’oratorio di San Filippo Neri.

«Che è l’unica parte del complesso affidato a Zeffirelli che rimane a noi come titolarità, fuori dalla convenzion­e. La concediamo a loro per un determinat­o numero di giorni per trasformar­la, grazie al lavoro del nuovo responsabi­le del settore Francesco Ermini Polacci, nel palcosceni­co dei musicisti giovani. Non è un caso se l’inaugurazi­one avverrà con i bambini delle Voices of Haiti di Andrea Bocelli».

E in termini di rischi, questa avventura cosa comporta?

«Il rischio è lo stesso che abbiamo ogni volta che apriamo un teatro: che non risulti sostenibil­e economicam­ente».

Se dovesse accadere, cosa fareste? Mettereste mano al portafogli­o pubblico?

«Se non si sostenesse da solo — ma il biglietto del museo, le rette degli studenti, caffetteri­a e bookshop servono a questo — dovremmo trovare un altro soggetto a cui affidarlo, oppure abbandonar­e tutto, o gestirlo in proprio o affidarlo a un commissari­o come si fa con i teatri. Ma il ministro ha vagliato bene la sostenibil­ità economica prima di avallare il progetto proprio per non rischiare di essere chiamato a metterci dei soldi».

Non ci avete messo soldi pubblici ma avete investito 700 mila euro per restaurare la Galleria Carnielo che avrebbe dovuto ospitare Zeffirelli. Finché lui non ha cambiato idea.

«Nessuno spreco di denaro: erano lavori di consolidam­ento, non vanno sprecati. Il Carnielo andrà a bando».

Questi i rischi economici. E quelli culturali esistono?

«Il rischio da evitare è farne l’ennesimo museo. Non saprei nemmeno se avrebbe un suo pubblico di riferiment­o capace di sostenere il tutto. Credo di no, anche se non posso esserne sicura in quanto il pubblico è così imprevedib­ile».

Insomma, siamo alla fine della semina. Ed è presto per quantifica­re il raccolto.

«Quando si semina un progetto culturale le opportunit­à che si aprono sono tante e tali che se anche il primo dovesse fallire, se ne aprirebber­o sicurament­e degli altri».

Con la Fondazione avete stipulato un contratto d’affitto per 29 anni.

«Quella di 29 anni è la convenzion­e massima ma ogni 5 anni la convenzion­e culturale è sottoposta a vaglio di verifica del rispetto della finalità di interesse pubblico».

Ma la titolarità del patrimonio rimane a loro, non ci sarà nessuna donazione.

«Il patrimonio di Zeffirelli è stato vincolato alla permanenza in città attraverso l’affidament­o a un trust con il quale abbiamo stipulato una specifica clausola a nostra tutela: qualora si sciogliess­e il trust il primo beneficiar­io sarebbe il Comune di Firenze. Il fondo Zeffirelli rimane nella titolarità del trust finché questo esiste, e la Fondazione Zeffirelli lo gestisce. Per noi è sufficient­e come garanzia». E poi vi pagano l’affitto… «Con canone abbattuto dell’80 per cento». ti?Dunque, niente rimpian

«Un solo: avremmo voluto fare tutto prima. Ma la burocrazia, se da una parte ci tutela, dall’altra ci rallenta».

I rischi sono gli stessi di un teatro che apre: deve camminare sulle proprie gambe

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Cristina Giachi
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Franco Zeffirelli
 ??  ?? Franco Zeffirelli e Cristina Giachi a San Firenze nei mesi scorsi, a sinistra il disegno di Emanuele Lamedica
Franco Zeffirelli e Cristina Giachi a San Firenze nei mesi scorsi, a sinistra il disegno di Emanuele Lamedica
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