QUALI TASSE VOTEREMO
In tema di fisco, nel nostro Paese si confrontano tre posizioni che finiranno anche per delineare le posizioni dei partiti e/o delle coalizioni nel prossimo confronto elettorale. Una prima parte dal presupposto che il sistema capitalistico italiano, la sua economia di mercato, non ha più la molla per riprodurre le condizioni di prodotto e occupazione pre-crisi, per cui ogni forma di incentivo è inutile. Solo una profonda alterazione dei meccanismi produttivi, con un intervento pubblico molto pervasivo, può ovviare al problema delle forti disuguaglianza di ricchezza. Da qui una serie di interventi mirati sulle categorie meno abbienti, non solo i poveri (come un esteso reddito di cittadinanza), finanziate con una tassazione fortemente progressiva, forse anche un’imposizione sui grandi patrimoni. Lo slogan è: «Non ci possiamo preoccupare dei ricchi!». Emmanuel Macron bollò questa posizione, che a un certo punto entusiasmò il partito socialista, come la politica che «ci avrebbe fatto divenire la Cuba senza sole», ma i limiti sono più felicemente racchiusi nella dichiarazione del ministro delle finanze belga secondo cui i ricchi francesi sarebbero stati i benvenuti da loro. La seconda posizione, ribalta la lettura della fase economica. Il problema è la crescita e per avere questa occorre introdurre potenti incentivi all’economia di mercato, attraverso una forte semplificazione del sistema fiscale, basata su un’aliquota unica di tassazione diretta e indiretta, associata ad una deduzione sui redditi più bassi (la così detta flat tax). I meriti di questa proposta sono evidenti, un pò meno i difetti, che sono in primo luogo legati alla possibilità di attuare concretamente una profonda riduzione della spesa, modificando i criteri per individuare e soddisfare i diritti alle prestazioni sociali essenziali, a partire dalla sanità e dal sistema pensionistico. In secondo luogo, l’imposizione flat, divenendo proporzionale ad alti livelli delle basi imponibili, favorisce i più abbienti, i meno abbienti con la deduzione, e scarica l’onere fiscale sui redditi medi, che sono quelli che contribuiscono di più allo sviluppo dell’attività economica. La terza posizione riconosce nelle disuguaglianze un problema cruciale, ma superabile solo con una serie di interventi selettivi sulla povertà e le condizioni di disagio e favorendo una forte ripresa dell’economia di mercato. Questa posizione implica anche una riforma dell’imposizione sul reddito che riduca, con il numero delle aliquote, i disincentivi al lavoro e alla produzione dovuti ad un eccesso di progressività.
Prevede che i risultati della lotta all’evasione siano impiegati per finanziare questo contenimento di tassazione nominale e di controllare senza stravolgimenti le spesa pubblica, con una serie programmata nel lungo periodo di spending review. Ma il vero elemento che distingue questa terza via alla riforma del fisco è la capacità di distinguere il profitto dalla rendita, favorendo il primo, riconoscendo gli elementi di incentivazione che racchiude, e colpendo la seconda in quanto originata da posizioni di potere di mercato.