Livorno, l’altro effetto della movida: c’è un quartiere senza più botteghe
In piazza Garibaldi solo minimarket per rifornire le notti alcoliche. Nogarin: fare di più
«Qui non si può mai stare tranquilli». Si interrompe un attimo Vittorio Caraglia, titolare del Jerdy’s bar all’inizio di Via Garibaldi: un ragazzino di colore sta uscendo dal locale ascoltando «Pasta col tonno», la hit del rapper Paul Yaboah (in arte «Bello Figo») che canta gli stereotipi razzisti degli italiani. Ormai via Garibaldi, storico quartiere popolare incastonato tra la maestosità di Piazza della Repubblica e la guglia di Fiorentina, è diventato il punto nevralgico del degrado: è qui che i giovani livornesi vengono a rifornirsi nelle sere del weekend per lo sballo notturno ed è qui che lo spaccio di droga e l’abbandono spesso provocano risse e regolamenti di conti tra stranieri.
«Un tempo le famiglie livornesi uscivano la sera e prendevano un gelato sulle panchine tra piazza della Repubblica e piazza Garibaldi — riprende Caraglia — adesso dopo una certa ora c’è il coprifuoco, il deserto».
L’amministrazione sta provando a riqualificare il quartiere: le ordinanze anti-alcol che hanno portato alla chiusura di due minimarket, i bandi per le nuove baracchine di street food e informazioni turistiche e poi il progetto «Pop up» Garibaldi con cineforum, presentazioni di libri e concerti che ha portato alla riapertura di 14 baracchine sfitte. «Abbiamo già fatto tanto per contrastare la vendita fuori controllo di alcolici — commenta il sindaco Filippo Nogarin — ma evidentemente non è sufficiente». Oltre alle iniziative istituzionali, ad aprile è nato anche il comitato cittadino «Vivigaribaldi» che si riunisce ogni mercoledì per cercare delle soluzioni. Di livornesi nel quartiere ce ne sono sempre meno: botteghe artigiane e locande storiche hanno lasciato spazio ai minimarket indiani, ai parrucchieri cinesi e agli alimentari thailandesi.
«Non siamo razzisti, ma…» è l’incipit che caratterizza tutte le testimonianze dei residenti e dei commercianti della zona. Più che arrabbiati, sono stanchi: spaccio di droga, risse notturne, alcol a fiumi. L’incendio di un alimentari straniero al civico 109 dello scorso 21 giugno è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Nessun ferito grave, ma poteva finire in tragedia. I residenti sono scesi in strada e c’è stato anche chi ha provato a farsi giustizia da solo con un coltello da cucina.
La tensione ormai si tocca con mano. «Siamo sempre stati un quartiere molto aperto nei confronti delle diverse etnie — racconta Gilberto Iannitti, titolare dell’Atelier Martinelli — ma sono loro che non vogliono integrarsi: cucinano dentro i fondi, non pagano le spese di quartiere, stanno aperti fino a tardi. Insomma, non rispettano le regole».
Alle cinque del pomeriggio, piazza Garibaldi è spettrale. Il caldo fa la sua parte, molti livornesi sono al mare. Le baracchine aperte sono tre: una vende frutta e verdura ed è gestita da sudamericani, una propone libri usati, l’altra è vuota. Ma lo stato del quartiere si avverte girando l’angolo, tra via della Pina d’Oro e le baracchine sfitte. Due ragazzini di colore, avranno sì e no 14 anni, sono fermi all’angolo della piazza. Si guardano intorno circospetti, aspettano qualcuno. Dopo cinque minuti arriva il pusher, un extracomunitario sulla ventina: i soliti cinque euro di fumo, da una mano all’altra, nemmeno si salutano. Si spaccia così in piazza Garibaldi, alla luce del sole. E in un’ora, in giro, nemmeno una volante della polizia. «Ci vorrebbero più controlli — spiega una residente — non si può nemmeno più fare due passi nella zona senza avere paura».