L’ultimo patrimonio dell’umanità
Storie I tronchi furono utilizzati per il Duomo di Firenze, poi venduti agli arsenali navali di Pisa e Livorno Oggi è vietato entrare
Sasso Fratino è una foresta inaccessibile, circondata da altre foreste che ricoprono le montagne. Il cuore segreto del Casentino. Un bosco vetusto, sopravvissuto grazie alla sua conformazione: le discese ardite e le risalite hanno ostacolato l’invasione umana. Dal 1959 è una Riserva Naturale Integrale, la prima in Italia. L’idea è questa: vediamo cosa fa la Natura quando viene lasciata sola. Vietato entrare. Niente interventi dell’uomo. E si è visto: in pochi anni la vita ritorna ricca e complessa. Specie scomparse riappaiono, quasi per magia, come dice la scienza. La cosa migliore per rendere omaggio a un posto simile è non andarci. Meglio rasentarla, fare un giro che la accarezzi. E intanto pensarla. Lei certo lo sentirà.
È possibile partire dal passo Fangacci, sopra Badia Prataglia, e da lì salire sul Monte Penna, che domina la situazione. Questo è un giro breve, che richiede poco tempo, oppure implica che uno vada lentamente e pensi tanto. Per pensare meno e camminare di più scenderei alla Lama, magari prendendola larga da Poggio allo Spillo e Passo della Bertesca. Oppure imboccherei il sentiero più diretto (227) che scende ripido immergendosi tra i faggi e le rocce, con lampi di panorama.
Io veramente a Sasso Fratino ci sono stato, qualche anno fa, con l’autorizzazione e l’accompagnamento delle guardie forestali. Il ricordo di quel giro si sovrappone alla discesa dai Fangacci. La Riserva Integrale sarà senz’altro più ricca di vita rara e preziosa, specie relitte sopravvissute all’ultima glaciazione, animali o piante sconosciute ancora in cerca di un nome (o che ne farebbero volentieri a meno), ma l’ambiente è simile. Ricordo gli alberi sempre più monumentali durante la discesa, avvicinandosi al cuore più antico della riserva. Funghi sulfurei che splendevano nella penombra. Nidi di astore. Faggi che spuntano dall’antico fondale marino. Abeti bianchi che si perdono verso l’alto come colonne di un tempio, con un’energia quasi immobile. «Albero, esplosione lentissima di un seme», scrisse Munari dopo non essere stato a Sasso Fratino. Verso l’anno Mille San Romualdo fondò l’Eremo di Camaldoli, nelle vicinanze di Sasso Fratino, vedendo nel corretto rapporto con gli alberi una delle vie per arrampicarsi fino a Dio. «Vigila sui tuoi pensieri come il buon pescatore vigila sui pesci» disse camminando tra gli alberi. (lui preferiva l’abete bianco). Più tardi Dante rimase impressionato dal suono delle cascate del Casentino e le mise anche all’Inferno. Poi la Repubblica Fiorentina donò molte selve della zona all’Opera del Duomo di Santa Maria del Fiore. Gestiva il luogo il Ministro delle Selve. Chi entra nel Duomo — che contiene alberi diventati chiesa — è un po’ come se entrasse a Sasso Fratino. Poi i tronchi di faggi e abeti furono venduti agli arsenali navali di Pisa e Livorno, e questi boschi si risvegliarono velieri e parteciparono a guerre ed esplorazioni. Seguirono secoli di tagli eccessivi. Ma nell’Ottocento il Granduca Leopoldo II chiamò un forestale boemo, Karl Simon, che forse era suo figlio naturale. Preferì farsi chiamare Carlo Siemoni, e dette una memorabile sistemata ai boschi. Nel 1958 fu deciso di far passare una strada da Sasso Fratino. Fabio Clauser, che doveva occuparsi della cosa, propose di farla passare da un’altra parte e iniziò così la storia che ha portato alla Riserva. Concepire l’idea di Riserva Integrale nel 1959 non doveva essere intuizione da poco.
Non c’è spazio in una pagina per fare entrare tutti gli animali che popolano Sasso Fratino, magari non vogliono neanche starci. Compressi diventano solo nomi. Una volta però ho incontrato un cervo. E si è messo di profilo girando la testa verso di me, come nei quadri. Nell’iconografia sacra il cervo simboleggia Gesù. In tutte le culture è il simbolo di una forza vitale. Forse per i palchi che ricrescono prodigiosamente ogni anno. Che la forza delle foreste sia con noi.