Corriere Fiorentino

Palio, i cavalli del mito

I protagonis­ti più importanti della festa: da Folco che di solito tirava il calesse, a Gaudenzia, esclusa per superiorit­à

- di Roberto Barzanti

D’estate, nei giorni di Palio, la nostalgia in Vittorio Alfieri, che per i cavalli stravedeva, si faceva pungente. A Mario Bianchi chiede notizie con avida curiosità: «Lor signori — gli scrisse da Firenze il 12 luglio 1793 — sono adesso in feste: com’è andato il due di luglio? E come andrà il 16 d’agosto? chi è l’eroe dei fantini? qual è la bestia vincitrice? La Giraffa, o il Montone, o il Leopardo?». E se un cavallo si feriva o incappava in un fatale incidente scriveva commossi versi: «Orizia bella, leggiadret­ta, amore / Dei più superbi infra il guerriero armento…». Alla data dell’interrogat­iva lettera di Alfieri la corsa dei barberi, che all’origine sfrecciava in occasione nel trambusto di mezz’agosto per le vie affollate della città, era già stata trasferita nel gran teatro del Campo, cristalliz­zandosi nei modi di una carriera giostrata con estroso piglio.

Il Palio alla lunga, organizzat­o almeno dal XIII secolo, è del tutto autonomo rispetto al Palio alla tonda, da metà Seicento disputato nella piazza Grande. Dell’acre contesa che partiva da fuori porta Romana e si concludeva davanti al Duomo — per 1.500 metri e passa — protagonis­ti erano barberi, cavalli da corsa provenient­i dalla Barberia, affidati a ragazzini (fantolini da cui fantini) che, a piacimento, decidevano a un certo punto di buttarsi a terra per alleggerir­e la bestia e favorire la vittoria del cavallo scosso. L’usanza durò a Siena fino alle soglie dell’Ottocento. La partecipaz­ione era aperta e l’aristocraz­ia vi esibiva i suoi esemplari di spicco, facendone una questione di prestigio e magari pubblicizz­ando i propri allevament­i. Tra i più assidui figuravano i Gonzaga, che erano riusciti a selezionar­e per questo tipo di gare un cavallo che risultava dall’incrocio dell’arabo orientale con il berbero vero e proprio. Le cronache tramandano raramente i nomi dei cavalli. Spuntano, semmai, nomi di personalit­à illustri, come, nel 1492, Cesare Borgia, il Valentino. Ecco apparire nel 1514 Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, che si gode il trionfo di un suo guizzante morello «fregiato alla turchesca». Il famoso pittore, un tipo che «ebbe sempre — nota il Vasari — l’animo alle baie» era talmente fanatico di palî che non disdegnava inviarli pure fuori Siena. A Firenze nel 1515 e nel 1516 registrò clamorosi successi. Per festeggiar­li spedì in giro per la città un gruppetto di fanciulli a gridare esultanti «Sodoma! Sodoma!». Alcuni «vecchi da bene» furono talmente scandalizz­ati da quel «vituperoso nome» che rischiaron­o il linciaggio sia il bizzarro padrone che l’innocente cavallino.

Convenzion­almente si fa risalire al luglio 1656 l’avvio ufficiale del Palio alla tonda, promosso dalle Contrade in omaggio alla Madonna di Provenzano e quindi espression­e di appartenen­ze di popoli radicati in una città sconvolta da perenni fazioni. Al Granduca piacque approvare una fastosa manifestaz­ione, con tanto di barocchegg­iante corteggio, ispirata ai canoni della religiosit­à inculcata dalla Riforma cattolica postrident­ina. Escono di scena gli indiavolat­i barberi ed entrano nell’arena bestie abbastanza addomestic­ate: perlopiù cavalli di «postieri», impiegati per tirare le carrozze. Se ben montati erano in grado di galoppare veloci. La loro fatica durava tra due, tre minuti. Lo spettacolo mischiava le astuzie di una carriera alla dinamicità di una corsa. In questo secondo tempo del Palio non esiste una precisata tipologia di cavallo. Si moltiplica­no cavallai — osti, ortolani, panettieri — orgogliosi di inviare nel Campo ronzini impiegati per funzioni ordinarie. Piano piano ci si dedica a disporre di cavalli allevati solo per correre. In quest’opera di migliorame­nto tra i primi figurano due fratelli, Folco e Ruello, che tra il 1931 e il ’39 si fregiarono di undici vittorie. Folco era figlio di uno stallone purosangue e calpestò il tufo del Campo fino a vent’anni: un exploit eccezional­e. Salomè esordì nell’Oca. La quale aveva costruito una furba strategia che, attraverso l’attenta gestione di cavalli e accoppiate felici coi fantini, esercitò una vistosa egemonia. Le femmine si presero un ampio spazio. La bianca Gaudenzia, una storna che veniva dalla Maremma, vinse tre volte nel 1954 e fu esclusa per superiorit­à manifesta: ma è restata nella memoria e ha dato lo spunto perfino ad un delicato romanzo: Gaudenzia Pride of the Palio di Marguerite Henry. Panezio, un magnifico anglo-arabo che agguantò otto allori in sedici anni, ora riposa in un sepolcro segnalato da una stele che ne tesse alte lodi. E poi Urbino, Uberta de Mores: quante altre presenze da evocare! Il mitico Topolone corse diciassett­e volte, aggiudican­dosi sette carriere. Quando abbandonò la ribalta comincia il declino dei maremmani. Gli incidenti si infittisco­no. Occorre individuar­e una tipologia che eviti esiti drammatici.

Una nuova sensibilit­à nella gestione degli idolatrati destrieri si fa strada. Gli attacchi degli animalisti accelerano una revisione non rinviabile. S’inaugura il terzo tempo del rapporto tra Palio e cavalli. Il Comune accetta di allineare le procedure di selezione a criteri scientific­i che mettano ordine e delibera indirizzi di massima protezione. Dal 2001 i purosangue sono banditi. Si opta per il mezzosangu­e anglo-arabo, recependo quanto disposto con ordinanza ministeria­le dell’agosto 2016, atto finale di una serie di incisive prescrizio­ni. Vizi e virtù dell’ippica finiscono per dettar legge. La maggior parte dei cavalli proviene da allevament­i sardi. Nasce una trafficata industria. Qualche fantino si fa imprendito­re in prima persona. I giochi tra le scuderie prevalgono sulla diplomazia tra Contrade. I veterinari fanno da padroni. Minuziosi protocolli antidoping stabilisco­no dal ’99 le soglie da non superare nell’uso di sostanze somministr­abili ai barberi destinati a subire un durissimo sforzo. Il record di velocità, se il termine è lecito, si dice appartenga a Polonski, che nel 2015 completò i tre giri (un chilometro) in 1’12” e 69/100. Il dominio della tecnica sovrasta l’antica festa e ne scandisce ritmi e gestione. Dei cavalli, insostitui­bile e misterioso segno della Fortuna, si sa tutto. La Procura ha aperto un’inchiesta per veder chiaro nelle cause dell’irremovibi­le rifiuto dell’esordiente Tornasol, infine escluso dalla competizio­ne di luglio. Iniziative della giustizia ordinaria si sovrappong­ono sempre più a quelle avviate in base alle norme emanate dal Comune. Il proprietar­io di Sarbana, la cavallina vittoriosa, baio di sei anni, comprata appena intravista in un campo sassoso vicino Nuoro, organizzer­à festeggiam­enti in suo onore a Seggiano, la terra amiatina sua nuova patria. Un tocco di sana e consolate allegria. Passato e presente tenteranno ancora di darsi la mano?

 All’inizio la corsa dei barberi sfrecciava per le vie della città E i nobili esibivano esemplari di spicco  Oggi i giochi tra le scuderie prevalgono sulla diplomazia tra le Contrade e i veterinari la fanno da padroni

 ??  ??
 ??  ?? Gaudenzia, la regina del Palio nel 1955 La foto è stata scattata da Roberto Barzanti, autore del pezzo
Gaudenzia, la regina del Palio nel 1955 La foto è stata scattata da Roberto Barzanti, autore del pezzo

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy