Palio, i cavalli del mito
I protagonisti più importanti della festa: da Folco che di solito tirava il calesse, a Gaudenzia, esclusa per superiorità
D’estate, nei giorni di Palio, la nostalgia in Vittorio Alfieri, che per i cavalli stravedeva, si faceva pungente. A Mario Bianchi chiede notizie con avida curiosità: «Lor signori — gli scrisse da Firenze il 12 luglio 1793 — sono adesso in feste: com’è andato il due di luglio? E come andrà il 16 d’agosto? chi è l’eroe dei fantini? qual è la bestia vincitrice? La Giraffa, o il Montone, o il Leopardo?». E se un cavallo si feriva o incappava in un fatale incidente scriveva commossi versi: «Orizia bella, leggiadretta, amore / Dei più superbi infra il guerriero armento…». Alla data dell’interrogativa lettera di Alfieri la corsa dei barberi, che all’origine sfrecciava in occasione nel trambusto di mezz’agosto per le vie affollate della città, era già stata trasferita nel gran teatro del Campo, cristallizzandosi nei modi di una carriera giostrata con estroso piglio.
Il Palio alla lunga, organizzato almeno dal XIII secolo, è del tutto autonomo rispetto al Palio alla tonda, da metà Seicento disputato nella piazza Grande. Dell’acre contesa che partiva da fuori porta Romana e si concludeva davanti al Duomo — per 1.500 metri e passa — protagonisti erano barberi, cavalli da corsa provenienti dalla Barberia, affidati a ragazzini (fantolini da cui fantini) che, a piacimento, decidevano a un certo punto di buttarsi a terra per alleggerire la bestia e favorire la vittoria del cavallo scosso. L’usanza durò a Siena fino alle soglie dell’Ottocento. La partecipazione era aperta e l’aristocrazia vi esibiva i suoi esemplari di spicco, facendone una questione di prestigio e magari pubblicizzando i propri allevamenti. Tra i più assidui figuravano i Gonzaga, che erano riusciti a selezionare per questo tipo di gare un cavallo che risultava dall’incrocio dell’arabo orientale con il berbero vero e proprio. Le cronache tramandano raramente i nomi dei cavalli. Spuntano, semmai, nomi di personalità illustri, come, nel 1492, Cesare Borgia, il Valentino. Ecco apparire nel 1514 Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, che si gode il trionfo di un suo guizzante morello «fregiato alla turchesca». Il famoso pittore, un tipo che «ebbe sempre — nota il Vasari — l’animo alle baie» era talmente fanatico di palî che non disdegnava inviarli pure fuori Siena. A Firenze nel 1515 e nel 1516 registrò clamorosi successi. Per festeggiarli spedì in giro per la città un gruppetto di fanciulli a gridare esultanti «Sodoma! Sodoma!». Alcuni «vecchi da bene» furono talmente scandalizzati da quel «vituperoso nome» che rischiarono il linciaggio sia il bizzarro padrone che l’innocente cavallino.
Convenzionalmente si fa risalire al luglio 1656 l’avvio ufficiale del Palio alla tonda, promosso dalle Contrade in omaggio alla Madonna di Provenzano e quindi espressione di appartenenze di popoli radicati in una città sconvolta da perenni fazioni. Al Granduca piacque approvare una fastosa manifestazione, con tanto di baroccheggiante corteggio, ispirata ai canoni della religiosità inculcata dalla Riforma cattolica postridentina. Escono di scena gli indiavolati barberi ed entrano nell’arena bestie abbastanza addomesticate: perlopiù cavalli di «postieri», impiegati per tirare le carrozze. Se ben montati erano in grado di galoppare veloci. La loro fatica durava tra due, tre minuti. Lo spettacolo mischiava le astuzie di una carriera alla dinamicità di una corsa. In questo secondo tempo del Palio non esiste una precisata tipologia di cavallo. Si moltiplicano cavallai — osti, ortolani, panettieri — orgogliosi di inviare nel Campo ronzini impiegati per funzioni ordinarie. Piano piano ci si dedica a disporre di cavalli allevati solo per correre. In quest’opera di miglioramento tra i primi figurano due fratelli, Folco e Ruello, che tra il 1931 e il ’39 si fregiarono di undici vittorie. Folco era figlio di uno stallone purosangue e calpestò il tufo del Campo fino a vent’anni: un exploit eccezionale. Salomè esordì nell’Oca. La quale aveva costruito una furba strategia che, attraverso l’attenta gestione di cavalli e accoppiate felici coi fantini, esercitò una vistosa egemonia. Le femmine si presero un ampio spazio. La bianca Gaudenzia, una storna che veniva dalla Maremma, vinse tre volte nel 1954 e fu esclusa per superiorità manifesta: ma è restata nella memoria e ha dato lo spunto perfino ad un delicato romanzo: Gaudenzia Pride of the Palio di Marguerite Henry. Panezio, un magnifico anglo-arabo che agguantò otto allori in sedici anni, ora riposa in un sepolcro segnalato da una stele che ne tesse alte lodi. E poi Urbino, Uberta de Mores: quante altre presenze da evocare! Il mitico Topolone corse diciassette volte, aggiudicandosi sette carriere. Quando abbandonò la ribalta comincia il declino dei maremmani. Gli incidenti si infittiscono. Occorre individuare una tipologia che eviti esiti drammatici.
Una nuova sensibilità nella gestione degli idolatrati destrieri si fa strada. Gli attacchi degli animalisti accelerano una revisione non rinviabile. S’inaugura il terzo tempo del rapporto tra Palio e cavalli. Il Comune accetta di allineare le procedure di selezione a criteri scientifici che mettano ordine e delibera indirizzi di massima protezione. Dal 2001 i purosangue sono banditi. Si opta per il mezzosangue anglo-arabo, recependo quanto disposto con ordinanza ministeriale dell’agosto 2016, atto finale di una serie di incisive prescrizioni. Vizi e virtù dell’ippica finiscono per dettar legge. La maggior parte dei cavalli proviene da allevamenti sardi. Nasce una trafficata industria. Qualche fantino si fa imprenditore in prima persona. I giochi tra le scuderie prevalgono sulla diplomazia tra Contrade. I veterinari fanno da padroni. Minuziosi protocolli antidoping stabiliscono dal ’99 le soglie da non superare nell’uso di sostanze somministrabili ai barberi destinati a subire un durissimo sforzo. Il record di velocità, se il termine è lecito, si dice appartenga a Polonski, che nel 2015 completò i tre giri (un chilometro) in 1’12” e 69/100. Il dominio della tecnica sovrasta l’antica festa e ne scandisce ritmi e gestione. Dei cavalli, insostituibile e misterioso segno della Fortuna, si sa tutto. La Procura ha aperto un’inchiesta per veder chiaro nelle cause dell’irremovibile rifiuto dell’esordiente Tornasol, infine escluso dalla competizione di luglio. Iniziative della giustizia ordinaria si sovrappongono sempre più a quelle avviate in base alle norme emanate dal Comune. Il proprietario di Sarbana, la cavallina vittoriosa, baio di sei anni, comprata appena intravista in un campo sassoso vicino Nuoro, organizzerà festeggiamenti in suo onore a Seggiano, la terra amiatina sua nuova patria. Un tocco di sana e consolate allegria. Passato e presente tenteranno ancora di darsi la mano?
All’inizio la corsa dei barberi sfrecciava per le vie della città E i nobili esibivano esemplari di spicco Oggi i giochi tra le scuderie prevalgono sulla diplomazia tra le Contrade e i veterinari la fanno da padroni