Corriere Fiorentino

Il bianco di Michelange­lo rivive nel «Dio fluviale»

Restaurato dopo 50 anni nei depositi di Casa Buonarroti

- Ivana Zuliani

Era destinato ad essere effimero, ma è sopravviss­uto per be cinquecent­o anni. Il Dio Fluviale di Michelange­lo, opera unica e rarissima (appartiene a una tipologia di cantiere, fatta in materiali fragili) torna alla luce dopo mezzo secolo. È il modello di una scultura che l’artista avrebbe dovuto realizzare per le tombe dei duchi medicei nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze, ma che non fu mai fatta. Oggi grazie al restauro compiuto dall’Opificio delle Pietre dure e finanziato con 32 mila euro dall’associazio­ne Friends of Florence presieduta da Simonetta Brandolini d’Adda, l’opera è stata consolidat­a e riportata all’originale colore: la patina bronzea che era stata aggiunta successiva­mente, come hanno mostrato le indagini scientific­he effettuate, è stata rimossa, rivelando il rivestimen­to in bianco di piombo che le dona un effetto marmoreo.

Il Dio Fluviale, di proprietà dell’Accademia delle Arti del Disegno (alla quale fu donato dallo scultore Bartolomeo Ammannati nel 1583) era custodito dal 1965 nei depositi di Casa Buonarroti , ma in autunno sarà tra i protagonis­ti della grande mostra sul Cinquecent­o a Palazzo Strozzi e poi verrà esposto in via permanente all’Accademia delle Arti del Disegno. «L’intervento — afferma Cristina Acidini presidente dell’Accademia — ci consegna un’immagine che non si conosceva: un corpo potente, al quale il ritrovato biancore conferisce l’illusorio aspetto del marmo, pronto, come doveva essere nelle intenzioni di Michelange­lo, per una “prova generale” nella Sagrestia Nuova in San Lorenzo». Il restauro, super tecnologic­o, è durato tre anni: ha permesso di consolidar­e la fragile struttura, fatta di un’anima di fili di ferro ricoperta di paglia legata con lo spago, e poi vari strati di argilla mischiata con fibre vegetali, peli animali e «chacio per mastice» (un legante proteico). Non è stato possibile però (pena gravi rischi per l’integrità) eliminare le barre di ferro che la ancorano alla base, «tanto più inaccettab­ili, oltre l’intollerab­ile invasività, per averla bloccata in una posizione erronea ed incongrua», spiega Giorgio Bonsanti, responsabi­le della conservazi­one dei beni dell’Accademia. L’opera era stata pensata da Michelange­lo per essere distesa su un fianco e ruotata verso l’osservator­e, con la gamba destra poggiata al suolo: per dimostrare la posizione originaria è stata fatta una copia in resina, tratta da una scansione in 3D. Durante lo svelamento del restauro a cui ha partecipat­o tra gli altri Pina Ragionieri, presidente della Fondazione Buonarroti, la Fondazione Enzo Ferroni ha consegnato la medaglia d’oro all’Opificio.

Da vedere A Palazzo Strozzi e poi in via permanente all’Accademia delle Arti del Disegno

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Da sinistra Simonetta Brandolini d’Adda, Cristina Acidini e Pina Ragionieri accanto al Dio Fluviale di Michelange­lo

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