I FRENI DI AGNESE
Il nuovo libro di Matteo Renzi Avanti. Perché l’Italia non si ferma, pubblicato da Feltrinelli, ancora prima di arrivare nelle librerie ha suscitato commenti e reazioni di ogni genere. Più volte su queste colonne abbiamo sottolineato come all’inizio dell’avventura di Renzi un atteggiamento di rottura con le vecchie consuetudini della politica italiana (soprattutto della sinistra) avesse rappresentato un elemento positivo e innovativo. Più volte, poi, abbiamo sostenuto l’esigenza che quel carattere, utile per smuovere una situazione stagnante, dovesse essere superato da atteggiamenti e forme di comunicazione che ne dimostrassero il passaggio da una pura politique d’abord ad una visione compiuta di statista. Un salto che non c’è stato, come ora riconosce Renzi stesso quando afferma che una volta insediato come premier è sembrato spesso più «un piazzista» che uno statista. Ma il salto non è ancora compiuto se, ad esempio, a proposito di Enrico Letta, il suo predecessore a Palazzo Chigi, nel libro compare un sarcasmo superfluo, inutilmente duro.
A proposito della promessa di rinnovamento, che Renzi continua a mettere al centro della propria iniziativa, è significativo invece l’episodio che riguarda la moglie Agnese. Quando l’ex boy scout prese un volo di Stato per andare a sciare con la famiglia in Val d’Aosta, Agnese si arrabbiò molto. Per l’effetto mediatico e le conseguenti polemiche, certo, ma quella decisione presa con superficialità rappresentava anche uno strappo con l’ispirazione che aveva alimentato la stagione della rottamazione (e l’ascesa rapidissima del marito). Un’intuizione che forse farebbe di Agnese la migliore consigliera politica di Renzi (a Palazzo Chigi, se mai ci tornerà, ma anche fuori). Questione di stile, ma non solo. In gioco c’era la consonanza con le attese di quegli italiani che alle elezioni europee del 2014 premiarono il Pd renziano con il 40 per cento. E qui per l’ex premier si apre la questione del recupero della fiducia perduta.
Renzi nei giorni scorsi ha lanciato molti segnali. A partire dallo ius soli per i figli degli immigrati nati in Italia. È evidente che l’ex premier punta a recuperare consensi alla sua sinistra. Ma non sarebbe stato più saggio risolvere il problema dello ius soli al termine di una rivisitazione di tutta la politica dell’immigrazione? Oppure: perché aprire un nuovo scontro con l’Europa sul fiscal compact, prima di aver annunciato, da uomo di Stato, un piano di riduzione della spesa pubblica, però credibile e non incerto come accaduto nel passato? E perché procedere a vista, guardando a sinistra e a destra, senza risparmiarsi nel solito battutismo, invece di presentare un piano convincente di governo? Il rischio è che il tatticismo resti (Lenin permettendo) la malattia infantile del renzismo. Un po’ come fu, nella sua esperienza da sindaco, la pedonalizzazione del Duomo: sacrosanto il divieto ad auto e bus , ma poi si sarebbe dovuto varare un nuovo piano per la mobilità tra centro e periferie. Un piano che ancora non c’è.