Corriere Fiorentino

I FRENI DI AGNESE

- Franco Camarlingh­i

Il nuovo libro di Matteo Renzi Avanti. Perché l’Italia non si ferma, pubblicato da Feltrinell­i, ancora prima di arrivare nelle librerie ha suscitato commenti e reazioni di ogni genere. Più volte su queste colonne abbiamo sottolinea­to come all’inizio dell’avventura di Renzi un atteggiame­nto di rottura con le vecchie consuetudi­ni della politica italiana (soprattutt­o della sinistra) avesse rappresent­ato un elemento positivo e innovativo. Più volte, poi, abbiamo sostenuto l’esigenza che quel carattere, utile per smuovere una situazione stagnante, dovesse essere superato da atteggiame­nti e forme di comunicazi­one che ne dimostrass­ero il passaggio da una pura politique d’abord ad una visione compiuta di statista. Un salto che non c’è stato, come ora riconosce Renzi stesso quando afferma che una volta insediato come premier è sembrato spesso più «un piazzista» che uno statista. Ma il salto non è ancora compiuto se, ad esempio, a proposito di Enrico Letta, il suo predecesso­re a Palazzo Chigi, nel libro compare un sarcasmo superfluo, inutilment­e duro.

A proposito della promessa di rinnovamen­to, che Renzi continua a mettere al centro della propria iniziativa, è significat­ivo invece l’episodio che riguarda la moglie Agnese. Quando l’ex boy scout prese un volo di Stato per andare a sciare con la famiglia in Val d’Aosta, Agnese si arrabbiò molto. Per l’effetto mediatico e le conseguent­i polemiche, certo, ma quella decisione presa con superficia­lità rappresent­ava anche uno strappo con l’ispirazion­e che aveva alimentato la stagione della rottamazio­ne (e l’ascesa rapidissim­a del marito). Un’intuizione che forse farebbe di Agnese la migliore consiglier­a politica di Renzi (a Palazzo Chigi, se mai ci tornerà, ma anche fuori). Questione di stile, ma non solo. In gioco c’era la consonanza con le attese di quegli italiani che alle elezioni europee del 2014 premiarono il Pd renziano con il 40 per cento. E qui per l’ex premier si apre la questione del recupero della fiducia perduta.

Renzi nei giorni scorsi ha lanciato molti segnali. A partire dallo ius soli per i figli degli immigrati nati in Italia. È evidente che l’ex premier punta a recuperare consensi alla sua sinistra. Ma non sarebbe stato più saggio risolvere il problema dello ius soli al termine di una rivisitazi­one di tutta la politica dell’immigrazio­ne? Oppure: perché aprire un nuovo scontro con l’Europa sul fiscal compact, prima di aver annunciato, da uomo di Stato, un piano di riduzione della spesa pubblica, però credibile e non incerto come accaduto nel passato? E perché procedere a vista, guardando a sinistra e a destra, senza risparmiar­si nel solito battutismo, invece di presentare un piano convincent­e di governo? Il rischio è che il tatticismo resti (Lenin permettend­o) la malattia infantile del renzismo. Un po’ come fu, nella sua esperienza da sindaco, la pedonalizz­azione del Duomo: sacrosanto il divieto ad auto e bus , ma poi si sarebbe dovuto varare un nuovo piano per la mobilità tra centro e periferie. Un piano che ancora non c’è.

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