Corriere Fiorentino

La moglie si sfoga in San Niccolò «Doveva dargli il portafogli­o»

Ghirelli sempre grave: è in coma farmacolog­ico. «Come si può finire così per pochi euro?»

- Antonio Passanese

«Ma perché non gli ha dato il portafogli­o?». Daniela Cammilli non si dà pace. Tornata di corsa dal mare con i nipoti si è rifugiata nella sua San Niccolò, tra la sua gente. Ha parlato con il verduraio del rione, con la barista del circolino dove Gino Ghirelli, il marito, tutti i giorni si fermava a prendere il caffè, prima e dopo il lavoro.

Sono tanti i «perché» a cui Daniela non riesce a dare risposta, ma soprattutt­o non capisce come mai il suo Gino non l’abbia chiamata subito dopo l’accaduto per raccontarl­e come erano andati i fatti. A qualcuno ha detto che «forse mio marito ha sottovalut­ato quella botta alla testa e pensando non fosse nulla di grave si è medicato a casa. Doveva dargli quel portafogli­o — continua a ripetere, come una cantilena, agli amici — Non si può fare questa fine per qualche euro. Probabilme­nte voleva salvare i documenti, la patente. Temeva che perdendola non avrebbe più potuto guidare il taxi». Daniela per ora ha soltanto la versione ricostruit­a dagli investigat­ori che stanno cercando di fare luce sull’episodio basandosi sullo scarno racconto che lo stesso tassista ha affidato alla centrale della Cotafi.

Ma ora per la donna la priorità è la battaglia che il marito Gino sta conducendo a Careggi: ricoverato in terapia intensiva ha subito un intervento alla testa per cercare di ridurre l’edema. È grave, in coma farmacolog­ico, «ma nei prossimi giorni proveranno a risvegliar­lo», dice il fratello Massimo che ieri ha voluto passare qualche ora al suo capezzale. «Non so se mi abbia sentito o no ma io ho voluto parlargli lo stesso — aggiunge con gli occhi gonfi di emozione — Gli ho raccontato delle nostre scorriband­e da ragazzi, di quando lui, nei giorni dell’alluvione del ‘66, si caricò sulle spalle il medico per portarlo a casa nostra, in Santa Croce. Io ero malato e quel suo atto d’amore mi salvò la vita». Massimo Ghirelli è un fiume in piena, e rammenta che nel 1962 la sua famiglia si trasferì a Firenze da Premilcuor­e, in provincia di Forlì, per stare vicino al babbo che faceva l’operaio. E poi parla dei tanti lavori di Gino che, per la sua stazza, ha sempre chiamato «King Kong»: «Non è mai riuscito a stare fermo: ha fatto il cameriere, ha avuto un bar in via di Tripoli e infine, a metà anni novanta, ha comperato la licenza taxi. Ma è stato anche un pugile affermato: tra il ’68 e il ’70 andava ad allenarsi al Cristallo, in piazza Beccaria, e riuscì a vincere perfino il campionato giovanile della Toscana. Ora invece si dedica alla pesca, ha anche una sua barchetta a cui tiene tanto. Gino è un gigante buono, non meritava questo… E a noi non resta che credere nella giustizia».

Il fratello Gli ho parlato, non so se mi ha sentito, ma io ho voluto raccontarg­li le nostre scorriband­e da ragazzi. Lui per me è sempre stato King Kong

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