Nel paradiso delle seconde case (a bagnare le pareti con la sistola)
L’ambulanza si fa strada in mezzo alle autobotti dei vigili del fuoco. Si ferma ai limiti della pineta che ancora brucia. Un vigile del fuoco si accascia sui sedili, si toglie il casco ed è una maschera di sudore. Un breve controllo, beve un po’ di acqua e torna in trincea, nella sterpaglia di Canova, piccola struttura turistica a tre chilometri da Marina di Grosseto. È il terzo incendio da fronteggiare nelle ultime venti ore. Il più difficile, forse, perché la fatica si accumula, fa tanto caldo e il fumo prende alla gola. Bruciano ancora le sei carcasse delle auto distrutte; dal sottobosco si levano fiamme all’improvviso, mentre un elicottero continua incessante il suo «bombardamento» di acqua presa dal mare, distante pochi metri. La strada delle Collacchie, che taglia in due la pineta che da Marina di Grosseto porta a Castiglione della Pescaia, è chiusa da ore. Il fuoco fa paura, ma i bagnanti lasciano la spiaggia e arrivano, curiosi, in sella a biciclette arrugginite. Anche l’incendio di Canova, a fine pomeriggio, è domato. Come gli altri divampati a spezzare il lento tran tran delle vacanze, in due giornate di paura.
Già al mattino la musica allegra dei miniclub degli stabilimenti balneari si era zittita. «Un altro incendio» avevano gridato i bambini. Il primo allarme di un lunedì svuotato dei vacanzieri della domenica, era scattato così, sulla spiaggia appena sveglia. Perché a Fiumara, a mezzo chilometro da Canova, un altro pezzo di pineta bruciava. Ma stavolta era niente in confronto alla desolazione lasciata dall’incendio della domenica. Divampato, cattivo, in più punti, in mezzo alle case di Marina, nel cuore della pineta, tra la disperazione della gente di via dei Platani e via dell’Oleandro.
Prendevano fuoco gli aghi di pino sui tetti e pareva che bruciassero le case. La gente piangeva. Sulle terrazze sono spuntate decine di sistole, con le quali si è cominciato a combattere il fuoco, spargendo acqua sulle pareti delle case e sui pini più minacciati. Fino a quando il lavoro incessante dei vigili del fuoco, di tanti volontari e soprattutto dell’elicottero ha avuto la meglio sulle fiamme.
Dopo una notte per tanti passata insonne, al mattino la zona aggredita dal fuoco è apparsa ingrigita, sporcata dalla cenere da cui emergevano le carcasse delle 26 auto distrutte. Due ruspe hanno abbattuto gli scheletri dei pini dilaniati dall’incendio, di cui resta l’odore acre e la paura della gente che si è sentita aggredita.
Gente semplice, che Marina l’ha scelta tanti anni fa per la spiaggia grande adatta ai bambini e per la frescura dell’ombra perenne garantita da quella pineta amica che adesso, ogni estate, diventa invece il palcoscenico del terrore. All’improvviso il popolo della pineta ha cominciato a temere per i propri sogni. Perché quelle piccole quadrifamiliari, cresciute negli anni Sessanta nel cuore della pineta — unico vincolo, non superare in altezza, la sommità degli alberi — non sono solo case di vacanze, soprattutto di senesi e aretini. Sono il segno tangibile dei sacrifici di un paio di generazioni, il frutto di risparmi di tante vite di lavoro, con l’unica soddisfazione della casa al mare. Gente semplice, a cui la sera basta una passeggiata sul lungomare e semmai qualche ballo con le orchestrine che suonano sulla spiaggia. Oppure una gita in bici fino a Canova, lungo la ciclabile che costeggia la pineta da una parte e la strada delle Collacchie dall’altra. Il teatro del terzo rogo in poche ore, quello che fiacca la resistenza dei vigili del fuoco e fa allargare le braccia alla gente in vacanza, impaurita, incredula. Durante tutta la giornata, sul bagnasciuga, si rincorrono incontrollate le voci: «Hanno preso una donna, è stata lei». I vigili del fuoco non sanno, non confermano. Nella fornace di Canova, dove combattono la loro terza battaglia, dicono solo, a mezza voce: «L’incendio di stamani a Fiumara è partito dalla strada».
Ma la gente non crede alla fatalità. Sente minacciata la normalità di una vacanza affatto fashion, senza vip. Per questo, mentre le ruspe del giorno dopo alzano polveroni di cenere, il popolo della pineta ha le lacrime agli occhi. Perché ad essere minacciato dal fuoco è il loro piccolo paradiso ordinario, dove mai avrebbero pensato di aver paura.