Corriere Fiorentino

IL PALAGIUSTI­ZIA? UNO SPAZIO PER TUTTI, AVVOCATI ESCLUSI

- Di Luca Bisori* *Presidente della Camera Penale di Firenze

Gentile direttore, prosegue con grande impegno nelle piazze di Firenze, nonostante la canicola estiva, la raccolta di firme promossa da Camera Penale a sostegno del disegno di legge di iniziativa popolare per introdurre in Costituzio­ne il principio della separazion­e delle carriere tra i magistrati. Il giusto processo regolato dall’articolo 111 della Costituzio­ne esige che i magistrati che i pm ed i giudici abbiano distinti percorsi di carriera. È necessario soprattutt­o a tutela della terzietà del Giudice, per come è ma anche per come appare: l’indifferen­za alle ragioni delle parti del processo è anche un valore estetico, il giudice deve anche «apparire» neutro perché è questa apparenza che fonda, nella percezione dei cittadini, la sua legittimaz­ione a decidere dei diritti, delle libertà e dunque della vita di tutti noi.

Il tema è antico, e costituisc­e tratto identitari­o delle Camere Penali, ma è rimasto strangolat­o tra il travolgent­e ma inutile successo del referendum radicale senza quorum del 2000, e l’incapacità della politica (tutta) di operare riforme senza subire i diktat della magistratu­ra associata. Oggi la via per riproporlo al centro del dibattito pubblico passa per una proposta di legge di iniziativa popolare, strumento prezioso di democrazia diretta «propositiv­a».

Perché il ddl giunga all’esame delle Camere occorrono 50 mila firme: una impresa difficile già di per sé, cui però si sono aggiunte, anche a Firenze, difficoltà ulteriori ed artificios­e.

L’organismo responsabi­le della gestione del Palazzo di Giustizia, in cui hanno diritto di voto i soli magistrati, ha ripetutame­nte negato l’autorizzaz­ione a che la raccolta delle firme si svolgesse anche negli spazi comuni del Palazzo di Giustizia.

La decisione è grave, oltre che di fatto immotivata, perché tradisce una logica «proprietar­ia» del Palazzo di Giustizia, luogo «dei magistrati» in cui l’avvocatura sarebbe «ospite», così da poterle negare il diritto di occuparsi, negli spazi aperti al pubblico, dei temi della giustizia, del processo e dei diritti.

Eppure, non più tardi di un paio di anni fa nessuna obiezione — né di «sicurezza» né d’altro genere — fu frapposta all’iniziativa assunta dall’Associazio­ne Nazionale Magistrati, che il 27 gennaio 2015 invitò la cittadinan­za tutta a visitare il Palazzo di Giustizia: «il Palazzo di Giustizia di Firenze si apre ai cittadini e agli studenti, per conoscere e discutere insieme sui temi della giustizia», recitava il volantino. L’iniziativa non ebbe un successo travolgent­e, ma certamente ebbe tutte le autorizzaz­ioni necessarie.

Di chi è dunque il Palazzo di Giustizia?

Non è forse il luogo ove si amministra la Giustizia «in nome del popolo» in processi pubblici a pena di nullità?

Non è forse la casa degli avvocati, se la legge prescrive che la sede dell’Ordine debba essere all’interno dei palazzi di giustizia, e se sono gli avvocati a garantire nel processo l’attuazione dell’inviolabil­e diritto di difesa dei cittadini?

O forse è un luogo a fruibilità variabile, a seconda che l’iniziativa proposta sia o meno gradita all’Associazio­ne Nazionale Magistrati, fieramente contraria — per ragioni comprensib­ili — alla separazion­e delle carriere?

Il diniego che ci è stato opposto, frutto di una logica corporativ­a, è anche un non-senso culturale, perché contraddic­e la concezione funzionale che Leonardo Ricci, progettist­a del Palazzo di Novoli, pose quale presuppost­o ideale della cosiddetta Basilica, quella grande area coperta che costituisc­e la «piazza» e lo spazio pubblico più significat­ivo del Palazzo. «La Basilica è un fatto urbano — scrive Stefano Lambardi in un saggio su Ricci — la città si ripropone in tutta la sua complessit­à dentro il Palazzo di Giustizia e, come nel foro, la Basilica offre il suo contributo alla vita pubblica della polis». Gli avvocati meritano rispetto, perché sono parte essenziale e cuore pulsante della polis giudiziari­a; non «anche» ma «soprattutt­o» quando, con il loro agire associato, propongono alla riflession­e democratic­a temi di così alto rilievo politico ed ordinament­ale.

Due pesi e due misure No alla raccolta di firme della Camera Penale per la separazion­e delle carriere, ma perché quel sì all’Associazio­ne dei magistrati?

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