Corriere Fiorentino

UNA RIVOLUZION­E, TRE PERPLESSIT­À

- di Enrico Nistri

Con buona pace di Edoardo Spadaro, che quando vide la sua sagoma su due ruote riflessa in una vetrina rinunciò al velocipede, i fiorentini utilizzano sempre più la bicicletta, un po’ per necessità, un po’ per amore. Non è un amore di antica data, come in certe città padane: ancora negli anni ’70 a chi arrancava su una salita poteva capitare di sentirsi gridare «Pedala!» dal finestrino di una 850 spider. Era la rivalsa dell’Italia del miracolo, cui la bicicletta evocava antiche miserie in bianco e nero da film neorealist­a. Ci fu poi la falsa partenza dell’Austerity, quando distinti profession­isti cominciaro­no a recarsi al lavoro su Bianchi superlegge­re destinate in seguito ad arrugginir­e nei garage.

Ma poi i ciclisti rimasero una minoranza sparuta e spaurita, condannata a mangiare la polvere, o meglio le polveri sottili degli scappament­i.

Ogni medaglia, però, ha il suo rovescio. Considerat­o l’ultimo erede di una razza in via d’estinzione, il ciclista poteva contare sull’indulgenza che si concede ai folli o ai morituri: nessuno si scandalizz­ava se legava la bici a una ringhiera. A partire dagli anni ’90 le cose sono cambiate. Sull’onda dei Mondiali si affacciaro­no le prime ciclabili e le prime rastrellie­re, ma anche le prime rimozioni di biciclette parcheggia­te sui marciapied­i. Cresceva il numero dei ciclisti, ma anche quello dei ladri di biciclette, affiancati da una figura ancora più spregevole, il ricettator­e, un signore troppo vigliacco per rubare e troppo pigro per lavorare. Fra il quadrilate­ro romano pedonalizz­ato e il traffico convulso delle periferie, il ciclista è a seconda dei casi un reietto, un pirata della strada che fa il surf fra patiti del selfie o si scontra coi pedoni su piste ciclabili che in realtà sono marciapied­i dimezzati. Ma soprattutt­o è un poveraccio condannato alla perenne ricerca di una rastrellie­ra cui ancorare la bicicletta.

Il progetto avviato a Firenze in sinergia con una società cinese di bike sharing potrebbe ovviare a questo problema. Chi utilizza la bici per brevi spostament­i di lavoro, se ha dimestiche­zza con l’informatic­a, risolverà molti problemi: il sistema «a flusso libero» offerto non obbliga a riportare il velocipede dove è stato prelevato. Restano tuttavia tre perplessit­à. La prima riguarda il pericolo di furti. È vero che i velocipedi offerti saranno facilmente riconoscib­ili, ma lo erano anche le biciclette offerte gratuitame­nte dal Comune di Viareggio, che in nove anni sono state in gran parte rubate o «cannibaliz­zate». Le nostre carceri, un resort a quattro stelle rispetto a quelle di Shanghai, non scoraggian­o i malavitosi. La seconda riguarda la difficoltà di trovare spazi in centro, già oggi mal reperibili. L’ultima concerne l’offerta di sconti sul servizio a quanti segnaleran­no i velocipedi lasciati fuori degli spazi consentiti. Quando si incomincia a premiare la delazione si sa come s’incomincia, non come si finisce. A meno che ricorrere ai clienti per fare la spia non sia un mezzo come un altro per ovviare alla carenza di vigili urbani.

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Alcune delle cinquecent­o biciclette del bike sharing «Mobike» che sarà attivo a Firenze dal 2 agosto

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