UNA RIVOLUZIONE, TRE PERPLESSITÀ
Con buona pace di Edoardo Spadaro, che quando vide la sua sagoma su due ruote riflessa in una vetrina rinunciò al velocipede, i fiorentini utilizzano sempre più la bicicletta, un po’ per necessità, un po’ per amore. Non è un amore di antica data, come in certe città padane: ancora negli anni ’70 a chi arrancava su una salita poteva capitare di sentirsi gridare «Pedala!» dal finestrino di una 850 spider. Era la rivalsa dell’Italia del miracolo, cui la bicicletta evocava antiche miserie in bianco e nero da film neorealista. Ci fu poi la falsa partenza dell’Austerity, quando distinti professionisti cominciarono a recarsi al lavoro su Bianchi superleggere destinate in seguito ad arrugginire nei garage.
Ma poi i ciclisti rimasero una minoranza sparuta e spaurita, condannata a mangiare la polvere, o meglio le polveri sottili degli scappamenti.
Ogni medaglia, però, ha il suo rovescio. Considerato l’ultimo erede di una razza in via d’estinzione, il ciclista poteva contare sull’indulgenza che si concede ai folli o ai morituri: nessuno si scandalizzava se legava la bici a una ringhiera. A partire dagli anni ’90 le cose sono cambiate. Sull’onda dei Mondiali si affacciarono le prime ciclabili e le prime rastrelliere, ma anche le prime rimozioni di biciclette parcheggiate sui marciapiedi. Cresceva il numero dei ciclisti, ma anche quello dei ladri di biciclette, affiancati da una figura ancora più spregevole, il ricettatore, un signore troppo vigliacco per rubare e troppo pigro per lavorare. Fra il quadrilatero romano pedonalizzato e il traffico convulso delle periferie, il ciclista è a seconda dei casi un reietto, un pirata della strada che fa il surf fra patiti del selfie o si scontra coi pedoni su piste ciclabili che in realtà sono marciapiedi dimezzati. Ma soprattutto è un poveraccio condannato alla perenne ricerca di una rastrelliera cui ancorare la bicicletta.
Il progetto avviato a Firenze in sinergia con una società cinese di bike sharing potrebbe ovviare a questo problema. Chi utilizza la bici per brevi spostamenti di lavoro, se ha dimestichezza con l’informatica, risolverà molti problemi: il sistema «a flusso libero» offerto non obbliga a riportare il velocipede dove è stato prelevato. Restano tuttavia tre perplessità. La prima riguarda il pericolo di furti. È vero che i velocipedi offerti saranno facilmente riconoscibili, ma lo erano anche le biciclette offerte gratuitamente dal Comune di Viareggio, che in nove anni sono state in gran parte rubate o «cannibalizzate». Le nostre carceri, un resort a quattro stelle rispetto a quelle di Shanghai, non scoraggiano i malavitosi. La seconda riguarda la difficoltà di trovare spazi in centro, già oggi mal reperibili. L’ultima concerne l’offerta di sconti sul servizio a quanti segnaleranno i velocipedi lasciati fuori degli spazi consentiti. Quando si incomincia a premiare la delazione si sa come s’incomincia, non come si finisce. A meno che ricorrere ai clienti per fare la spia non sia un mezzo come un altro per ovviare alla carenza di vigili urbani.