Quelle gocce di speranza
Caterina Ceccuti: dal sangue di piccoli malati come mia figlia il test per la diagnosi precoce al Meyer
La storia di Charlie e quella di Sofia Caterina Ceccuti: al Meyer un test per la diagnosi, grazie ai donatori
«Come donna comprendo il comportamento di Connie, come mamma compatisco il suo dolore e come essere umano condivido il suo stato d’animo». Il pensiero di Caterina Ceccuti in queste ore, come negli ultimi mesi, va a Connie Gard. È il pensiero di chi conosce l’amore infinito per un figlio che deve lottare con una malattia rara che non dà speranza: Sofia, colpita da leucodistrofia metacromatica e Charlie affetto dalla sindrome da deplezione del Dna mitocondriale.
Il dolore dopo la diagnosi infausta, la speranza nelle terapie compassionevoli, la delusione di fronte ai tribunali e alle battaglie legali, l’impotenza di dare al proprio piccolo se non una cura almeno una vita migliore, che hanno vissuto Connie e Chris Gard nei 10 mesi di vita del piccolo Charlie, sono gli stessi che hanno scandito i giorni di Caterina e del marito Guido, da quando, sette anni fa, hanno imparato a conoscere la malattia dal nome impronunciabile e dall’esito infausto che è stata diagnosticata alla loro Sofia.
«Non c’è una sola tappa di tutto questo folle, agghiacciante dramma, che io e Guido non abbiamo attraversato con Sofia. La diagnosi, la cura compassionevole sudata e ottenuta, poi negata, combattuta e rivendicata in tribunale e poi ancora negata, bloccata, soppressa per sempre, insieme alla speranza di poter far stare anche solo un poco meglio nostra figlia». Caterina si è sentita vicina a Connie quando Charlie aveva ancora una condizione fisica sufficiente a far sperare i genitori in una cura sperimentale che gli è stata negata, nella frustrazione «di una mamma costretta a spendere tempo, energie, soldi in una lotta contro le istituzioni, che come unico risultato ha ottenuto la perdita della serenità familiare, mentre intanto la malattia s’è mangiata il bambino un pezzo dopo l’altro». Ma soprattutto è con lei ora «quando ha deciso che basta, la battaglia è inutile perché ormai le condizioni del piccolo sono troppo gravi, sarebbe solo accanimento terapeutico».
La scelta dei genitori di Charlie di ritirare la domanda di andare negli Usa per tentare cure sperimentali, perché ogni tentativo sarebbe inutile, non deve essere considerata una resa, ma «la dimostrazione di grande responsabilità», afferma Caterina. «Loro combattevano per migliorare la vita del loro bambino finché era possibile. Se non lo è più ci si ritira anche per salutare in maniera intima il piccolo. La loro lotta era per garantirgli una qualità di esistenza al massimo delle potenzialità. Non capisco perché un ospedale debba interporsi nelle scelte di cura di una famiglia, perché approvino l ’ al imentazione forzata ma considerino accanimento una cura compassionevole», si sfoga Caterina. Anche lei ha vissuto «la mazzata» di chi ha cercato di accedere a cure sperimentali ma ha sbattuto contro il tempo sottratto dalla patologia e dai tribunali: quando ha chiesto agli ospedali universitari di Shenzhen, Minnesota, New York Medical College e Salt Lake City di accogliere Sofia per trials terapeutici a base di staminali gli hanno risposto che era troppo tardi. «Se mi avessero lasciato andare mesi fa aveva senso, ora non più». Per un malato neurodegenerativo all’ultimo stadio rimangono «abbandono, indifferenza, solitudine».
Ma Caterina e Guido non si arrendono: cercano sempre una cura per Sofia e nel frattempo aiutano altri bimbi. La loro associazione Voa Voa, insieme a Comitato Italiano Progetto Mielina, ha finanziato un progetto di ricerca dell’ospedale Meyer per la diagnosi precoce di due malattie metaboliche, l’adrenoleucodistrofia Xlinked e la leucodistrofia metacromatica. Il test, che prima non esisteva, «è pronto e funzionante» assicura il professor Giancarlo La Marca, responsabile dello studio. «In questo momento il riconoscimento della malattia arriva solo dopo la comparsa dei sintomi, è tardivo. Con questo test diagnostico precoce potremo diagnosticare la malattia prima, e quindi permettere ai bambini di accedere alle terapie geniche del San Raffaele, che sono il futuro: sostituire la parte malata di dna con una sana». Da settembre inizieranno le procedure burocratiche per ottenere l’ok del Comitato etico regionale e inserire il test in via sperimentale nello screening neonatale in Toscana.
Il test è stato messo a punto grazie anche alle famiglie dell’associazione e a 16 gocce di sangue donate dai piccoli malati.
Il caso di Londra Capisco ogni singola scelta dei genitori di Charlie, non c’è una sola tappa di tutto questo folle dramma che io e Guido non abbiamo attraversato con Sofia Sono vicina a Connie, sua madre, anche ora che ha deciso di fermare la battaglia La malattia ha mangiato i nostri figli un pezzo dopo l’altro, ma quanto tempo perso a lottare nei tribunali...