SE ALLA POLITICA MANCA SOBRIETÀ
Il deputato di Ala ha ammesso di avere cambiato opinione. Aveva approvato il provvedimento in commissione e poi ci ha ripensato, proprio grazie al dibattito di questi giorni: «Ho capito — ha detto — che stavo pensando di votare sì non per convinzione, ma per paura». La paura di frapporsi all’ondata dell’antipolitica e di uscirne con le ossa rotte, con un’immagine devastata anche davanti ai propri figli. Ma poi è prevalso l’orgoglio di non nascondersi. È venuta fuori la voglia di rivendicare in Parlamento l’onore del ruolo, il valore del mandato popolare. Parisi non è un deputato qualunque. Verdiniano di stretta osservanza, è coinvolto nell’inchiesta sulle sovvenzioni al Giornale della Toscana che ha come principale protagonista l’ex coordinatore nazionale di Forza Italia ed è stato condannato in primo grado. Ma anche i suoi avversari dovrebbero riconoscergli un merito: a Montecitorio ha tenuto una lezione di diritto parlamentare, ha spiegato perché nella storia deputati e senatori hanno goduto di alcuni privilegi, ha difeso la dignità della politica e dei politici, chiamati a essere migliori di ogni altro cittadino «perché qui si fanno le leggi che governano tutti e lo si fa in nome del popolo». Poi l’attacco frontale ai Cinque Stelle e al populismo. Facciamo parlare lui: «Avete vinto, sì, ma sappiatelo, è una vittoria di Pirro, perché scoprirete un giorno che queste prerogative, comprese le indennità, e forse anche i vitalizi, sono state introdotte nel Regno quando è entrato qui un signore che si chiamava Andrea Costa e guardatevi su Wikipedia chi era: il primo deputato socialista. Allora sono state introdotte le indennità, perché servivano a portare qui persone come voi e anche come me, che vengo da una famiglia di umili origini: non sono privilegi, sono garanzia della nostra libertà, della libertà di poter dare il nostro voto senza paura... Certo, la politica ha fatto degli errori; certo, degli eccessi sono stati commessi colpevolmente, ma non si tocca il principio, non si tocca l’istituzione... Già troppe volte abbiamo ceduto all’antipolitica, lo abbiamo fatto quando abbiamo votato l’abolizione del finanziamento pubblico. Oggi lo dice anche Cantone. Ma ci vuole tanto a capire che la politica costa e che se non c’è il finanziamento pubblico c’è quello privato? E abbiamo fatto anche cose più gravi, abbiamo stabilito — grazie anche a voi, ma non solo a voi, purtroppo — che l’inesperienza è una virtù... Perché d’altronde facciamo l’attività più semplice del mondo, no? Che ci vuole? È solo fare le leggi, è solo amministrare questo Paese, è solo rappresentare gli italiani. Ci vuole l’inesperienza e grazie a voi è diventata una virtù... Bene, voi avete vinto, ma io ci ho ripensato». Così ha parlato Parisi alla Camera, dove tra molti mugugni il Pd ha invece votato a favore della legge che cancella i cosiddetti vitalizi proposta dall’emiliano Matteo Richetti. Un renziano coerente, tornato in prima fila dopo essere stato tenuto a lungo in disparte dal suo leader. Richetti fa un ragionamento specularmente opposto a quello di Parisi. Per lui la politica può riprendersi la sua dignità solo spogliandosi di tutto ciò che l’ha resa «casta» agli occhi dell’opinione pubblica. Chi ha ragione e chi ha torto? La politica difesa dall’esponente di Ala è una politica che da tempo sembra sparita dalla scena italiana. Ci sarebbe stato un modo solo, forse, perché potesse rialzare la testa: adottare il metodo della sobrietà. Che è l’eleganza della democrazia. Una virtù rarissima. Anche nel Pd evidentemente. Richetti l’ha capito e ha proposto un’altra strada. Anzi, la scorciatoia che piace anche a tantissimi italiani. Non è detto che abbiano ragione perché dalla loro parte c’è la forza dei numeri.