Primo: vietato vietare
Il fascismo ci minaccia ancora? E come? Un dibattito ripartito per due proposte di legge Allora è meglio ricordare qual è la regola base di una sana democrazia. E che la Costituzione è forte
Il fascismo muore quando gl’italiani vanno a letto fascisti e l’indomani si risvegliano antifascisti. O, quanto meno, afascisti. Dopo vent’anni di martellante propaganda, neppure le balde camicie nere muovono un dito per salvare il loro duce. Anzi, si mettono prontamente a disposizione di Badoglio. Nel Belpaese, si sa, ci si adegua a ogni cambio di regime. O, semplicemente, di governo. Si registra un solo suicidio. Pace all’anima sua, si toglie la vita Manlio Morgagni, presidente e direttore generale dell’Agenzia Stefani, soprannominato il megafono di Mussolini. E a liberare il dittatore, il 12 settembre 1943, non saranno gl’italiani ma i tedeschi, su ordine di Hitler.
Così stando le cose, la XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione, ma si tratta di disposizione finale e non transitoria, interviene fuori tempo massimo. Pur tuttavia, ha la sua brava ragion d’essere. E’ il corollario, o per meglio dire la ciliegina sulla torta, di una Costituzione – come usa dire – nata dalla Resistenza. La Costituzione più bella del mondo – parola dei campioni del politicamente corretto – riconosce la più ampia facoltà di associazione. Con un’unica eccezione: vieta, sotto qualsiasi forma, la ricostituzione del disciolto partito fascista.
La dizione è storicamente inesatta, perché c’è stato prima il Partito nazionale fascista e poi il Partito fascista repubblicano. Di grazia, quale dei due è vietato? Resta il fatto che la norma al suo apparire è già una foglia morta, per usare un’espressione cara ad Arturo Carlo Jemolo. Difatti già allora nessuno si sarebbe sognato di tornare al passato. Tant’è vero che il Msi nacque all’insegna del non rinnegare e non restaurare. La legge Scelba poi, contenente norme di attuazione della predetta XII disposizione, ha addirittura rischiato di essere dichiarata contraria alla Costituzione. Perché è andata ultra vires. Ed è stata salvata per un pelo dalla Corte costituzionale. La sentenza n. 1 del 1957 – presidente De Nicola, relatore Cosatti – parla chiaro. Dice che «l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in una esaltazione tale da potere condurre alla riorganiz- zazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione». E non si ricostituisce il Pnf facendo il saluto romano. Igienico e pluralista, come diceva Giorgio Almirante.
Si dà il caso che da quando deputati del Pd hanno presentato alla fine dello scorso anno due proposte di legge volte a reprimere con la massima severità la propaganda fascista, sono spuntati come funghi in autunno nostalgici in servizio permanente effettivo. Ma si tratta di un abbaglio. Emblematico il comportamento a dir poco bizzarro del gestore di uno stabilimento di Chioggia. Una macchietta che ridicolizza il fascismo. Una caricatura del personaggio interpretato da Tognazzi. Un aspirante federale talmente rozzo che non sa rispondere alle domande di mistica fascista rivoltegli da due avanguardisti e costretto a farsi imbeccare dal professore antifascista suo prigioniero, mosso a compassione del povero diavolo. Vale ancora ai giorni nostri la lezione di Maurice Duverger, eletto deputato europeo nelle file del Pci. Il famoso politologo francese era solito dire che vietare un partito microscopico è perfettamente inutile perché incapace di nuocere, mentre vietare un partito grande e grosso è praticamente impossibile.
La regola di una sana democrazia suona così: vietato vietare. E il londinese Hyde Park Corner, dove ogni eccentrico da un palchetto può dire la sua per la gioia di qualche baby sitter di passaggio, andrebbe eretto a suo tempio. La verità è che la democrazia, perfino quella nostra un po’ squinternata, ha avuto ragione dei suoi nemici di destra e di sinistra. Dopo il suicidio del fascismo, abbiamo avuto il suicidio del comunismo perpetrato dai suoi stessi dirigenti. Certo, ci sono ancora italiani che si dichiarano fascisti o comunisti. Ma il loro sovente è millantato credito. Ignoranti di storia, tracciano un parallelo tra la democrazia qual è e il fascismo o il comunismo dei loro sogni. Al riguardo ci sono alcune pagine del capolavoro di Giovanni Sartori, Democrazia
e definizioni, che andrebbero meditate. Idealizzano, insomma, ciò che non è mai stato. Montanelli racconta che nell’immediato dopoguerra un certo Paneroni a Milano dava dei somari a chi incontrava per strada perché se la terra fosse rotonda, come sostengono gli scienziati, cadremmo tutti giù per terra. Lo si stava a sentire increduli e si affrettava il passo.
In democrazia contano i numeri. E i numeri ci dicono che con le loro fantasticherie gli eccentrici di tutte le risme non possono illudersi di prevalere. Esprimono solo scombiccherate opinioni, ammesso e non concesso che siano tali, condannate dalla Storia.
Ci sono italiani che si dichiarano fascisti o comunisti ma il loro, sovente, è millantato credito