La resa degli anarchici: arrestati
In 8 nei guai per la bomba anti CasaPound che ferì l’agente e per la molotov a Rovezzano
Arrestati otto anarchici accusati di essere gli autori dell’assalto a colpi di molotov alla caserma dei carabinieri di Rovezzano nell’aprile 2016 e della bomba contro CasaPound il 31 dicembre dello stesso anno (un artificiere della polizia perse un occhio e una mano). Gli anarchici si sono rifugiati sul tetto della villa del Galluzzo che avevano occupato: alcuni di loro sono scesi e si sono consegnati solo dopo ore.
Organizzavano incontri sulla «genetica asservita alla potere costituito e repressivo» per discutere su come «il Dna sia diventato un’arma nelle mani di sbirri e magistrati». E proprio dal dna sono stati traditi gli anarchici che hanno costruito la bomba per l’attentato davanti alla libreria di Casa Pound la notte di Capodanno nel quale ha perso un occhio e una mano l’artificiere della polizia Mario Vece. Al termine di un’indagine partita già all’alba del primo gennaio la Digos e i Ros dei carabinieri hanno arrestato otto anarchici. Tentato omicidio, costruzione, detenzione e porto di ordigno esplosivo e danneggiamento aggravato le accuse contenute nel decreto di fermo firmato dal procuratore capo Giuseppe Creazzo e dai sostituti Filippo Focardi e Beatrice Giunti. Il blitz nel quartier generale degli anarchici, La Riottosa Squat, occupata dieci anni fa in via Senese al Galluzzo, e adesso finita sotto sequestro preventivo, è scattato ieri mattina alle 7.
A rispondere della bomba di Capodanno sono Nicola Almerigogna, 34 anni, fiorentino, Roberto Cropo, 31 anni, torinese, Pierloreto Fallanca, 30 anni, di Teramo, Giovanni Ghezzi, 31 anni, di Pistoia e Salvatore Vespertino, 31 anni, sardo residente a Rimini. Micol Marino, 30 anni, fiorentina, Marina Porcu, 34 anni, di Sassari e Sandro Carovac, 33 anni, pratese residente a Pontassieve, sono invece accusati del raid con una molotov il 21 aprile 2016 contro la caserma dei carabinieri di Rovezzano. Domani mattina si presenteranno davanti al gip Fabio Frangini per la convalida.
È stato proprio il Dna rilevato dagli specialisti della polizia scientifica su un pezzetto di scotch utilizzato per la bomba davanti alla libreria in via Leonardo da Vinci a incastrare Vespertino, «eroe» e «latitante», come è stato definito da uno del gruppo in una conversazione intercettata. Per dare esecuzione al fermo la Procura ha aspettato che rientrasse dalla Francia. Negli ultimi mesi era sparito da Firenze e si era diviso tra Napoli, Roma, Milano, Svizzera, Monza, Genova, Cosenza, Sicilia, Sardegna, Barcellona e Francia.
L’attentato alla libreria, secondo le indagini, sarebbe stato organizzato in una «cena intima» a Villa Panico il 7 dicembre con un anarchico torinese che avrebbe fornito la sua consulenza per fabbricare la bomba. «Porta i magnum, quelli da ragazzino. Va bene anche i raudi», un sms intercettato. Gli accertamenti hanno poi confermato che l’ordigno artigianale era composto da una bomboletta spray con coperchio tagliato, riempita di polvere pirica proveniente dai petardi, chiusa con un coperchio metallico, con innesco effettuato tramite un timer meccanico da cucina collegato a fili elettrici e batterie, il tutto sigillato dal nastro adesivo. In una frase intercettata al telefono Fallanca, detto Pasca, si vanta di quello che ha fatto: «Ho messo un bombone in bocca a CasaPound».
Il pericolo di fuga è alla base del fermo della Procura: tutti gli indagati — scrivono i pm nel decreto — hanno dimostrato di avere ponti di collegamento con realtà anarchiche di altri paesi, recandosi ogni anno a lavorare in Francia d’estate per poter poi godere della disoccupazione in Italia». Non solo: il gruppo è riuscito a carpire da ambienti giudiziari o di polizia notizie segrete e informazioni estremamente precise sulle indagini.
«Questa operazione — ha detto il procuratore Creazzo — è dedicata dai suoi colleghi al poliziotto Vece». «Quello che è accaduto — ha detto l’ex artificiere — mi ha cambiato la vita ma è un evento connesso ai rischi professionali. Ho subito lesioni invalidanti importanti delle quali non provo alcuna vergogna. Porto le ferite a testa alta, con la dignità e la consapevolezza di chi ha fatto fino in fondo il proprio dovere». «Successo di alto livello», il commento del ministro dell’Interno Marco Minniti. «Una risposta concreta a chi teme che Firenze non sia una città sicura — ha detto il sindaco Dario Nardella — ma è anche la dimostrazione che non si può e non si deve abbassare assolutamente la guardia contro criminalità, terrorismo e violenza».