QUELLE RIFORME DA RIPESCARE
Alessandro Petretto ha sottolineato sul Corriere Fiorentino di mercoledì scorso come le dispute nate in Toscana sui Consorzi di bonifica e sulla raccolta dei rifiuti derivino prima di tutto da riforme nazionali non attuate o incompiute. Basti pensare alla grottesca vicenda delle Province: un esempio delle conseguenze scaturite dalla bocciatura del referendum costituzionale. È un punto su cui insiste spesso Matteo Renzi, impegnato affannosamente nel tentativo di riconquistare quello spazio politico che per lui si è sicuramente ridotto dal 4 dicembre in poi. Giusto? Sbagliato?
Rispetto ai bei tempi del 40 per cento di voti alle europee, la situazione è completamente cambiata e davanti al segretario del Pd si è profilata una sfida del tutto nuova. C’è un progetto di governo per l’Italia da mettere a punto. Non è però cambiata la necessità delle riforme, compresa almeno una parte di quel pacchetto bocciato nel referendum. Invece che rievocare i benefici per il Paese perduti con la vittoria del No, Renzi dovrebbe piuttosto avere la forza di riportare all’attenzione degli italiani la necessità di fare alcuni passi avanti, falliti il 4 dicembre per gli errori fatti proprio dal fronte del Sì, a cominciare da quelli commessi da lui stesso. Forse c’è qualcuno che può negare la necessità di rivedere le competenze tra Stato e Regioni? O di rivedere tutto l’assetto dei poteri locali? Renzi, ancora disorientato dalla sconfitta, non sembra capire l’esigenza di un nuovo orizzonte da dare alla sua strategia. E continua a riproporre temi e perfino modi di comunicare che agli occhi degli elettori appaiono sempre più datati e privi di reale efficacia. Dal maggiore partito del centrosinistra ci si aspetterebbe un progetto riformatore che si opponga davvero alla deriva anti-istituzionale nutrita di rancore e di incompetenza, a quello che giustamente o no si definisce come populismo. Sarebbe necessario un discorso pubblico da cui emergessero analisi nuove della reale situazione economica e sociale del Paese, insieme alla definizione di un piano di riforme per i prossimi anni, indispensabile per la battaglia politica, anche in una prospettiva di incerta governabilità come quella che è del tutto lecito supporre dopo le prossime elezioni. Renzi non dà l’impressione di muoversi in tale direzione. Si limita a fare alcune sortite, come nel caso della (discutibile) mezza difesa dello strappo di Macron con il governo italiano sul caso dei cantieri navali. Un po’ poco per una svolta.