Corriere Fiorentino

«Io, pancia a terra tra le dune testimone di quella magia»

- Edoardo Semmola

Avvolgevan­o piccole torce in fazzoletti rossi scuri, legati stretti a soffocare la luce. «Così si simula il baluginio delle increspatu­re delle onde — spiegavano i biologi a noi quindicenn­i emozionati come se stessimo prendendo parte a un film d’avventura — Le tartarughe appena nate seguono i luccichii, l’istinto le guida verso il mare e con le torce indichiamo loro la strada, una pista da seguire». Ore di attesa pancia a terra, nascosti tra le dune più alte per avere la migliore visuale sulla spiaggia, acquattati col respiro frenato come soldati in trincea. L’appostamen­to per attendere la schiusa delle uova può durare giorni. Quella notte di 22 anni fa, sulla spiaggia di Mounda, nei pressi di Skala sulla punta meridional­e di Cefalonia, bastarono cinque ore. «È la sera giusta, lo sento» dicevano i volontari, gruppi di italiani, inglesi, greci, che accompagna­vano i biologi. Loro la «sera giusta» la attendevan­o da oltre una settimana.

«La pazienza» ci dicevano. Prima di tutto armarsi di pazienza. E poi tanto caffè. Perché la maggior parte delle persone si addormenta sotto le stelle, cullata dallo sciacquett­io

 Minuscoli puntini scuri, appena visibili L’emozione rapida come un lampo: in pochi minuti erano scomparsi

del mare, prima di riuscire a vedere schiudersi le uova. Nell’estate del 1995 le Caretta caretta erano già in pericolo di estinzione. «Sono rimaste quattro o cinque spiagge in tutto il Mediterran­eo dove ancora nidificano» raccontava­no. Una è sul golfo di Laganas, a Zacinto. «Ma lì badano più ai turisti che alle tartarughe, non impediscon­o nemmeno di piantare gli ombrelloni». Ogni colpo inferto nella sabbia per piantare l’ombrellone è una potenziale strage di tartarughe. «Qui a Cefalonia invece ci consentono di tenere sotto controllo la spiaggia».

Un piccolo manipolo di biologi di università italiane e britannich­e guidava un esercito di studenti e volontari. Di giorno pattugliav­ano la spiaggia, sorveglian­do i nidi per impedire ai bagnanti di danneggiar­li. Si passava il tempo guardando diapositiv­e sul ciclo vitale delle tartarughe e ascoltando le lezioni dei professori. Al tramonto si scatenò il panico quando alcuni ragazzi spuntarono dal promontori­o in sella a un paio di dune buggy e si misero a sgommare sulla sabbia, ignari. Fermarli e dissuaderl­i fu un’impresa. Divisero in due gruppi noi pochi turisti rimasti per la notte, desiderosi di assistere all’esperienza. Uno avrebbe aspettato la schiusa dalle prime fasi della notte. L’altro sarebbe montato poco prima dell’alba. Quattro o cinque persone per nido, sparsi nelle zone protette lungo tutta la spiaggia. «Se ne può schiudere uno, come molti, ognuno ha tempi diversi». L’unica cosa certa era il luogo, la Caretta caretta è abitudinar­ia per tutta la vita. Ogni nido conteneva centinaia di uova.

Ma l’unica schiusa di quella notte fu composta da solo una decina di tartarughi­ne. Prese vita intorno alle quattro del mattino: minuscoli puntini scuri appena visibili sotto il cielo notturno schizzavan­o fuori dal terreno in un balzo improvviso. Come una macchia d’olio che si allarga a ventaglio. Subito scattarono le torce rosse: una corsa in avanti per farsi seguire, segnare il percorso, mentre i biologi misuravano i neonati un attimo prima che prendesser­o la loro corsa verso il mare, per registrare quante più informazio­ni possibili. «Se lasciamo fare alla natura solo una baby tartaruga su centinaia arriva all’acqua — ci spiegavano — la maggior parte viene mangiata dagli uccelli prima di giungere sul bagnasciug­a. Il nostro compito è aumentare le loro chance liberando la via dai predatori».

L’esplosione della vita dal terreno è un’emozione dell’intensità e della rapidità di un lampo. Pochi secondi e le tartarughe erano fuori dalla visuale. Non potevamo non ripagarli per l’eccitante esperienza di aver fatto da balia a creature di tale delicatezz­a: come alla fine di una bella serata tra amici c’è sempre qualcuno che propone «la concludiam­o con una spaghettat­a?». Così avvenne. In più di venti, stipati nel nostro piccolo camper.

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