Anarchici, le due verità dei giudici
A Firenze gli indizi per l’arresto giudicati «inconsistenti», a Lecce «molto gravi»
Gli stessi atti, ma valutati in maniera diametralmente opposta. Sei degli otto anarchici fermati giovedì scorso dalla Procura di Firenze sono di nuovo in libertà, due sono in carcere ma con provvedimenti diversi. È il paradosso del blitz del Galluzzo.
Reperti biologici, volantini, intercettazioni, incontri «segreti» e materiale trovato durante le perquisizioni: su questo si basa l’inchiesta sull’attentato di Capodanno costato una mano e un occhio all’artificiere Mario Vece. Ma i giudici hanno letto gli stessi atti in maniera diametralmente opposta. Sei degli otto anarchici fermati giovedì scorso dalla Procura di Firenze sono di nuovo in libertà, due sono in carcere ma con provvedimenti diversi. Come è possibile che un giudice scarceri dei sospettati e un altro giudice li tenga in carcere? Roma, domenica, si è allineata a Firenze mentre Lecce ha convalidato l’arresto di un anarchico imponendo che per tre mesi non possa parlare con nessuno.
È come se in questa vicenda ci fossero due verità. Con quella del gip di Lecce Carlo Cazzella diametralmente opposta a quella del gip fiorentino Fabio Frangini. Dice il giudice salentino: «Gli indizi raccolti sinora assurgono al rango di gravità tale da ipotizzare l’affermazione di responsabilità, all’esito di un giudizio, quanto meno nei confronti» dei quattro anarchici. Non solo per Pierloreto Fallanca, anarchico di Teramo fermato in uno spazio occupato a Lecce, ma anche per Salvatore Vespertino, Giovanni Ghezzi e Roberto Cropo.
Il Tribunale di Lecce contraddice quello di Firenze che, sabato, non ha convalidato i fermi disposti dal procuratore Giuseppe Creazzo e ha disposto che cinque anarchici tornassero in libertà. Libertà negata, invece, a Salvatore Vespertino che resta in carcere perché il suo dna è stato trovato su un pezzo della bomba esplosa la notte di Capodanno. Il gip Cazzella è stato chiamato a convalidare il fermo della Procura di Firenze perché Fallanca, uno degli anarchici indagati, al momento del fermo si trovava in Puglia. Cazzella — noto alle cronache perché in Assise, per la prima volta in Italia, venne riconosciuto il reato di riduzione in schiavitù per una vicenda di caporalato proprio su sua proposta — si è quindi trovato a giudicare la posizione degli anarchici coinvolti nella vicenda della bomba di Capodanno, dando una lettura diametralmente opposta da quella del gip Frangini. «Le intercettazioni restano un mezzo di ricerca delle prove e da sole ben difficilmente possono sostituirsi alla prova», aveva scritto Frangini. Non ravvisando neppure il pericolo di fuga: «Sapevano di essere indagati e non stavano preparando una fuga all’estero». Le conversazioni «captate» tra gli indagati, poi, non consentivano — a suo dire — «in alcun modo di ritenere la loro partecipazione
all’attentato».
Il gip Cazzella invece — basandosi sulla lettura delle carte degli inquirenti — argomenta il fermo analizzando come dalla pista anarchica, scoperta anche grazie alle rivendicazioni, si arrivi alle intercettazioni «a carico dell’indagato che suffragavano l’ipotesi investigativa». La più esemplificativa: «Quale tentato omicidio per il poliziotto... è una pura casualità... bisogna
ridimensionare il tutto». Per il gip di Lecce è stato proprio Fallanca a mettere la bomba alla libreria legata a Casapound. «Se ne è assunto la paternità dicendo “ho messo un bombone a Casapound”», scrive Cazzella. «Le intercettazioni trovano riscontro» durante le perquisizioni, quando la Digos recupera bombolette di vernice usata per confezionare la bomba, «analoga a quella esplosa a Capodanno».
Per il gip Carlo Cazzella il pericolo di fuga è concreto, dato che «gli autori dell’attentato sono ben consapevoli di essere nel mirino degli inquirenti, come si evince da numerose intercettazioni e del fatto, commentato dallo stesso Fallanca, che Vespertino dopo l’evento si è dato alla macchia». Fra l’altro, argomenta il gip, «il Fallanca ha fatto intendere di essere sempre in giro per l’Italia: se denunciato a piede libero è altissima la probabilità che faccia perdere le proprie tracce attesa la gravità» dell’accusa. Ed è, inoltre, «logicamente inserito in un ampio contesto criminale dedito con convinzione alla lotta armata per ragioni politiche e quindi pronto ad organizzare nuovi attentati».
Che le interpretazioni dei due gip siano opposte lo si evince proprio da una frase, da quel «bombone» pronunciato da Fallanca che dice: «L’ho messo un bombone a Casapound (...). Il vincitore in maniera netta è stato Vespertino». Per il gip fiorentino Frangini «non è un’auto attribuzione: logica vorrebbe che altrimenti Fallanca si sarebbe proclamato vincitore anche lui». Per il gip leccese Cazzella, invece, questa frase è espressione di «paternità di quell’azione».
Non è l’unico a pensarla così. Anche per il gip di Roma Giuseppina Gugliemi, «Fallanca si è assunto la paternità dell’azione». È uno dei passaggi che si legge nell’ordinanza da lei firmata quando ha deciso di non convalidare il fermo di Roberto Cropo, l’anarchico fermato a Roma, e di rimetterlo in libertà. Per il gip le prove a carico dell’indagato sono labili mentre sono robuste quelle relative al gruppo anarchico individuato dalla Digos.
Rispetto alla posizione di Cropo, però, il gip Guglielmi spiega che «non è particolarmente significativa la sua presenza a Firenze il 30 e il 31 dicembre scorsi». E anche per quanto riguarda il pericolo di fuga il giudice romano solleva perplessità: «Deve osservarsi come la motivazione addotta dalla Procura, e cioè che gli indagati, inspiegabilmente a conoscenza degli sviluppi dell’indagine, potessero darsi alla fuga, giovandosi della rete di conoscenze stabilite all’estero, non vale a connotare in termini di concretezza il pericolo di fuga», sulla base degli accertamenti. La Digos aveva accertato che, per due volte, Cropo aveva lasciato il cellulare in un luogo per non farsi «tracciare».
L’attentato di Capodanno «Ho messo un bombone a Casapound»: per due Gip è una chiara rivendicazione, per il collega fiorentino l’esatto opposto