LA FINZIONE DELL’UNITÀ
Forse si tratta di una crisi di panico. Nella sinistra toscana c’è chi si sta rendendo conto che a forza di suonarsele e basta la sinistra stessa non fa che avvicinare quella sconfitta che da alcune città già passate al centrodestra o ai Cinque Stelle (Livorno, Arezzo, Grosseto, Pistoia e Carrara) potrebbe estendersi alle città in cui si voterà l’anno prossimo (Pisa, Siena, Massa) e poi alla Regione, ponendo fine a un sistema di potere che regge da oltre mezzo secolo. È stato il governatore Enrico Rossi, uno dei capi della scissione del Pd che ha portato alla nascita di Mdp-Articolo 1, a gettare il primo sasso proponendo su Repubblica una «alleanza democratica e sociale» che coinvolga anche le liste civiche e dia priorità a lavoro, crescita, ambiente, accoglienza. Formule da archeologia politica, un programma di governo generico, un manifesto di buone intenzioni che non contiene neppure un cenno al perdurare delle più gravi crisi regionali e ai ritardi che hanno messo piombo nelle ali della nostra economia. Basti pensare alla pantomima delle infrastrutture, allo stallo delle acciaierie di Piombino e agli affanni di tutta la Costa. Ma evidentemente lo scopo di Rossi era prima di tutto politico. Un messaggio al Pd per vedere che effetto faceva, sulla scia delle rassicurazioni avute da Matteo Renzi («Con Rossi fino alla fine della legislatura»). Le risposte che sono arrivate non sono univoche. Nessuno applaude entusiasticamente. Il Pd toscano non ha affatto metabolizzato lo strappo del governatore e continua a interrogarsi sui motivi per cui il segretario del partito, senza mai consultarsi, continui a far da scudo al principale competitor regionale. E così tra i Democratici prevale la scelta di anteporre a qualsiasi idea di alleanza gli accordi sulle cose da fare. Ma qui cascano gli asini. Perché è da mesi che da tutto il centrosinistra toscano non filtra un’idea nuova sul futuro. E il dibattito vive, si fa per dire, dei riflessi delle dispute nazionali su immigrazione e sicurezza. Un po’ poco per avviare una discussione sulle necessità della società toscana e delle sue imprese, che sono il perno dello sviluppo. Dice ancora Rossi: «Si mettono in discussione i sindaci, si agitano le primarie: un modo di procedere che divide e disorienta l’elettorato e prepara ulteriori sconfitte». Sembra un’autoflagellazione per la fuoruscita dal suo partito: che senso ha lamentarsi per una spaccatura dell’elettorato che è stata la prima conseguenza della scissione che Rossi ha voluto più di altri?
Dopo mesi di sortite a vuoto, pur in mezzo a quella selva di battute da studente in vacanza a cui proprio non sa rinunciare, negli ultimi giorni Renzi ne ha azzeccate un paio. Ha detto che insistere sulla necessità di inserire il premio di coalizione nella legge elettorale significa fare un piacere a Berlusconi-Salvini-Meloni e che della legge sullo «ius soli» se ne riparlerà nella prossima legislatura. Immediate le repliche stizzite o sdegnate della sinistra-sinistra. Sulla legge elettorale l’ex premier ha detto una verità lapalissiana: con gli attuali rapporti di forza, gli unici che potrebbero beneficiare di un premio di coalizione sono i partiti del centrodestra. Ne consegue che a sinistra non mancano i fessi oppure gli ipocriti che in realtà puntano tutto sulla sconfitta dell’ex rottamatore per riprendersi l’egemonia perduta (e se il prezzo da pagare è il successo di Berlusconi e Brunetta, pazienza). Quanto allo «ius soli», Renzi sembra essersi reso conto che una battaglia di civiltà mal condotta poteva trasformarsi in un disastro politico-elettorale. Non spiegare per bene agli italiani i veri contenuti della riforma (che non è un via libera alla cittadinanza italiana per chiunque arrivi nel nostro Paese) è stato il primo, grave errore. Il secondo, ancora più grave, è stato quello di dare battaglia in Parlamento su questo fronte proprio mentre si era aperto il caso del ruolo delle Organizzazioni no profit negli sbarchi. Scontate le strumentalizzazioni di chi in tutti i modi cerca di dimostrare che l’Italia è un porto di mare aperto a chiunque. Renzi forse ha capito che lo «ius soli» dovrebbe essere l’ultimo capitolo di una nuova politica dell’accoglienza, capace di conciliare l’interesse nazionale e i principii umanitari (su cui tanto insiste, e a ragione, il Papa). L’ultimo capitolo, non il primo, per non provocare nuovi risentimenti nelle fasce (e sono quelle popolari) più esposte all’insicurezza e alla paura. La destra l’ha capito benissimo, e ci marcia, la sinistra no. Ma alla sinistra che in queste ore contesta Renzi (e che sullo «ius soli» invoca la questione di fiducia) non sta a cuore capire il Paese: è la sinistra che preferisce restare fedele alle sue vecchie bandiere. E alle sue guerre. Sempre perdute, però.