Corriere Fiorentino

NON È L’ARNO IN SECCA IL NEMICO N.1 DI SCHMIDT

- di Enrico Nistri

No, non è il caso di risolvere tutto prendendos­ela col galleggian­te cinico e baro o con l’infingardi­a della falda, o con l’Arno, questo «torrentacc­io rovinoso» che nel Settecento Giovanni Targioni Tozzetti avrebbe voluto infognare, com’è stato fatto nel dopoguerra con l’Affrico.

Dietro al black out dell’impianto di condiziona­mento degli Uffizi, indispensa­bile al benessere dei visitatori e alla conservazi­one dei dipinti, c’è un concorso sfortunato di circostanz­e, ma anche un complesso di colpe che va ben oltre il caso in questione. C’è un impianto di climatizza­zione che, se non risale ai tempi del Vasari, è senza dubbio datato, anche se a realizzarl­o fu un’azienda di tutto rispetto come l’impresa di quel galantuomo del conte Danilo De Micheli. Ma c’è anche la tendenza a differire i problemi, a illudersi che la notte porti consiglio non solo agli umani, ma anche agli impianti sanitari. E a frammentar­e e di conseguenz­a a diluire le responsabi­lità in un groviglio di competenze tecniche, burocratic­he, politiche. Eike Dieter Schmidt è uscito vincitore del concorso internazio­nale voluto dal ministro dei Beni culturali Franceschi­ni — con una decisione che ha deluso le pur legittime aspettativ­e di valenti studiosi italiani — anche perché ritenuto latore di un approccio più pragmatico e meno giuridico-formale alla gestione di una grande pinacoteca. Molti suoi comportame­nti non hanno deluso queste aspettativ­e: dalla guerra ai bagarini al disegno di prospettar­e itinerari differenzi­ati in base agli interessi dei visitatori, dal coraggio di scendere sul campo, mescolando­si ai turisti in coda, alla decisione di differenzi­are stagionalm­ente i prezzi dei biglietti a seconda della maggiore o minore affluenza. Una proposta alla Booking.com, che non manca di una sua logica, anche se può scandalizz­are chi vede nei musei un valore culturale più che un bene da commercial­izzare secondo logiche di mercato e magari rimpiange i tempi in cui l’accesso ai musei era gratuito e gli artisti poveri stazionava­no con i loro cavalletti davanti ai capolavori, a dipingere copie per i ricchi americani in vacanza in Europa. Di questo approccio pragmatico Schmidt dovrà e senz’altro saprà dare prova anche dinanzi al problema di un impianto di condiziona­mento se non obsoleto quanto meno problemati­co, dipendente dai capricci del clima e bisognoso, in caso di necessità, di costose trasfusion­i d’acqua. Certo, non si può pretendere che uno storico dell’arte sia al tempo stesso fontaniere e ragioniere, esperto di relazioni sindacali e di ingegneria idraulica, nonché, al bisogno, di idrografia. Ma per gestire una realtà complessa come un grande museo è fondamenta­le quella dote innata di coordinare scienze ed esperienze eterogenee, tipica della funzione dirigenzia­le, che costituisc­e la differenza specifica fra un manager e un grattacart­e. Il direttore Schmidt dovrà dimostrarl­a al sommo grado, ma per farlo dovrà capire, sempre che non l’abbia già fatto, che il peggior nemico degli Uffizi non è la capienza altalenant­e dell’Arno, ma la tendenza tipica di tutti gli «uffizi» pubblici a nascondere i problemi sotto il tappeto. E poco importa se si tratta di un prezioso arazzo del Seicento.

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