RENZI E LE OMBRE (DEI MINISTRI)
Quasi certamente l’Italia, dopo le prossime elezioni, dovrà prepararsi ad un passaggio nel mare aperto dell’instabilità politica e di governo. La divisione dell’elettorato in tre blocchi e il proporzionale, a cui sembra assai improbabile che si possa sfuggire, rendono un po’ ridicole le previsioni di una vittoria netta dell’una o dell’altra parte. Dovranno essere ricercate soluzioni fondate su difficili compromessi e le stesse ambizioni dell’uno o l’altro leader di mettere o rimettere piede in Palazzo Chigi appaiono, allo stato attuale, dei puri escamotage per la campagna elettorale che ci aspetta. Non sfugge a tale considerazione Matteo Renzi che, all’indomani delle prossime politiche, dovrà tirare fuori capacità di mediazione (ammesso che ce l’abbia), tali da consentire al Pd (sempre ammesso che i risultati lo consentano) la formazione di un governo di cui, assai probabilmente, non potrà essere il capo. Iniziano, ovviamente, le interpretazioni sui rapporti fra Renzi e gli altri possibili aspiranti premier, interni allo stesso partito dell’ex sindaco di Firenze. Al centro dell’attenzione dei commentatori in questi giorni c’è Marco Minniti, il titolare del Viminale, giunto ad una notevole evidenza sulla scena nazionale per le questioni dell’immigrazione. C’è chi, come nel caso della Verità (il giornale di Maurizio Belpietro), avvalora la tesi che Renzi veda con favore un possibile ruolo di Minniti, per non consegnarsi mani e piedi all’attuale premier Paolo Gentiloni. C’è chi come La Stampa sostiene che, al contrario, Renzi sia fortemente preoccupato dell’ascesa del ministro dell’Interno e cerchi di contrapporgli Delrio, appoggiato sul caso migranti anche da Boschi e Madia. Dissertazioni tipiche del Ferragosto? Il problema è di assoluto rilievo. La situazione è radicalmente cambiata dal tempo che ha preceduto la sconfitta al referendum e Renzi dovrebbe finalmente rendersene conto. Il Pd, se vuole essere in grado di attraversare il mare aperto che attende il nostro Paese, non potrà più essere il partito di un unico leader. Il segretario dovrebbe invece presentare al Paese una classe dirigente composta da personalità autonome e fra loro anche competitive. Personalità in grado di attrarre aspettative diverse, capaci di confluire in un disegno politico comune, di cui esprimere anche individualmente una possibile leadership di governo. Il tempo del capo indiscutibile e degli ascari al seguito è definitivamente tramontato. Renzi dovrebbe essere il primo a convincersene, al di là di ogni legittima ambizione di rivincita personale.