Come una nobile «uccisa» dalla noia
Piazza Oberdan e dintorni: una zona vittima del proprio isolamento. Spopolata, i negozi chiudono
40 anni fa era piena di bambini, con i segni di gesso della campana per terra Oggi la piazza è frequentata unicamente da anziani e badanti Le persone ci dormono, ma non la vivono
Mentre a Novoli, all’Isolotto e nelle periferie di Firenze tra gli anni ‘50 e ‘60 sbarcavano dal Sud i nuovi operai con le valigie di cartone, sotto i palazzi signorili attorno a piazza Oberdan, dove abitavano grandi avvocati e luminari della medicina, arrivavano le auto dei conti, dei baroni, dei principi del Mezzogiorno. Oggi, i volti sono gli stessi di allora, il quartiere non è cambiato, è solo diventato più canuto. In via Bovio, alla macelleria della famiglia Rossi, cento anni nel 2023, raccontano sorridenti che «qui si sta bene, non ci sono problemi di soldi». Attorno alla piazza ottocentesca intitolata al patriota triestino, simbolo del risanamento voluto dal Poggi, c’è un quartiere che vive come in una bolla dorata, in cui l’unica vera pecca è la noia. Grandi palazzi, il centro commerciale naturale di via Gioberti a pochi passi — e la Coop di via Cimabue — la quiete di chi non è invaso dalle auto, due cinema (Portico e Sala Esse), pochi negozi ma quelli di una volta: non ci sono più il pizzicagnolo o il fruttivendolo, ma resistono il meccanico, il macellaio, l’edicola, il gelataio, il parrucchiere. Al centro di piazza Oberdan, un esagono di ombra in una zona che di verde ne ha poco. Forse perché quasi tutti i palazzi hanno una corte col giardino.
«Oggi la piazza è frequentata unicamente da anziani e badanti», spiega Andrea Ulivieri, 73 anni, ex rappresentante di abbigliamento nato e cresciuto in queste strade. «Eppure quarant’anni fa, quando mio figlio andava ancora a scuola alla Giotto, era un luogo pieno di bambini, con i segni di gesso della campana per terra. Ricordo, ma qui parliamo addirittura degli anni ‘50, che sull’angolo dell’edicola c’era pure il casotto del giardiniere». Ma il passato non è sempre rosa. «Negli anni ‘80 la piazza divenne meta fissa degli eroinomani che si nascondevano dietro le siepi — racconta Mauro Fontani del Club della Moda aperto 64 anni fa — Oggi il problema non c’è più, ma questo non è più un luogo di aggregazione, siamo in un quartiere benestante. Le persone ci dormono, non lo vivono. Guardi adesso: con l’estate è un deserto, tutti hanno la seconda casa al mare». Con qualche eccezione come sporadici clochard o due ragazzi ben comodi su un materasso buttato a terra.
Di nuove famiglie ce ne sono pochissime. Tra i rari recenti ospiti illustri, il ministro Luca Lotti. Da tempo, il cambiamento non è contemplato. Eppure, in una città restia a ogni sperimentazione, proprio da queste parti, in via Scipione Ammirato, a inizio Novecento spuntarono le uniche case liberty di tutta Firenze. Sembrerà un paradosso, ma persino nella vicina piazza Beccaria, attraversata dai viali, assediata dalle auto a ogni ora, c’è chi si lamenta della noia. «Questa era una delle piazze più belle, piena di uffici e case importanti», raccontano al bar accanto all’Astra 2. «Ha perso tantissimo, a cominciare dalla chiusura del cinema. In inverno la sera è un mortorio. Stiamo pensando di tenere aperto fino a tardi, anche per combattere gli spacciatori che si sono insediati in zona». Anche i carabinieri, che fino a un anno fa vivevano qui, si sono trasferiti a Castello. Siamo sulla più nobile via del commercio di Firenze, da via Gioberti a piazza della Repubblica. Una strada dorata? L’apparenza inganna. Tra concorrenza e scarsi parcheggi, c’è chi dura poche settimane; l’ultima vittima è un negozio di abbigliamento. E qui, a differenza del centro, niente turisti: così la gelateria e la pasticceria, coi fiorentini in ferie, restano chiuse d’agosto. L’ultimo grande caduto è il cinema strozzato dalla crisi. Al suo posto arriverà l’ennesima banca. Accanto a due negozi di vestiti, una vetrina giapponese, uno Swarowski, due bar, non ci sono che istituti di credito. Sembra una sentenza senza scampo, comminata guarda caso all’ombra della duecentesca Porta alla Croce, luogo storico delle condanne capitali.