L’ASSURDITÀ DI UN SELFIE MENTRE S’INCENDIA IL FARO DI TUTTA LA CITTÀ
Avederla dai pressi della città, con il coronamento che sprigionava alte fiamme e il pennacchio di fumo che si spargeva nel cielo stellato d’agosto, la Torre del Mangia metteva paura e suscitava interrogativi a non finire. «Tutte queste misure di sicurezza non son servite a niente!». Qualcuno pensava a qualcosa di più d’un banale inconveniente. Pareva tutto spento e poi il fuoco riprendeva e la Torre somigliava ad un tizzone che non voleva arrendersi. Mentre vigili e volontari, subito accorsi, si affannavano a domare l’incendio, nel Campo sottostante impazzava la festa dell’Onda che inneggia alla vittoria conquistata sfidando tutte — non proprio tutte forse — le previsioni. E non mancavano turisti, ma anche senesi, indaffarati a scattare un selfie-ricordo di una scena mai vista. A quel che si è capito qualche pignattella di quelle che sui merli evocano notti di altri secoli si era rovesciata per il vento innestando le fiamme nel tavolato che sta sotto il Campanone, confidenzialmente Sunto. Le fiamme che spuntavano dalla Torre, il simbolo più noto e identitario della forma stessa di Siena, non destavano nei più i timori di quanti avvertivano domande pungenti. Risorgeva un senso di metafora che faceva venire in mente recenti sciagure. Siena brucia è il titolo eloquente del fortunato pamphlet di qualche anno fa in cui David Allegranti aveva ripercorso i guai finanziari e non solo della città. E il sindaco Valentini in una conferenza aveva annunciato soddisfatto, dopo l’ingresso dello Stato nel Monte, che «l’incendio era finito», per dire che la fase più drammatica era ormai superata.
Si sa che le torri esprimevano la potenza delle casate gelose di una loro altezzosa preminenza. La Torre del Comune è invece il maestoso faro di una comunità. La futilità di un selfie è quanto di più assurdo si possa proporre per immortalare un guaio del genere. Tra le tante pagine di visitatori che hanno ammirato la svettante Torre dal profilo di spada val la pena rammentare Henry James: «Questa torre magnifica, la cosa più bella che c’è a Siena e, nella sua rigida struttura, immutabile e splendida come un nobile naso su un volto di non importa che età, simboleggia ancora una dichiarazione di indipendenza di fronte alla quale la nostra, lanciata da Filadelfia, sembra aver fatto poco più che cedere irrimediabilmente al tempo».
Il trambusto e l’angoscia che hanno attanagliato chi vede in quella torre molto di più di un sfida estetica hanno richiamato — e richiamano — l’attenzione alla necessità di una cura più seria e attrezzata del patrimonio d’arte, custodito spesso con eccessiva disinvoltura. Il culto delle tradizioni non basta ed è tutt’altro che sufficiente. Così per il Palio. Se si permette a chi, entrando di rincorsa, faccia nel Palio scattare la mossa quando tra i canapi vige una confusione inaccettabile che ne sarà di una corsa già fitta di non lievi problemi? E un fantino che insegue il rivale spinto contro i palchi per assestargli qualche dura nerbata ha un comportamento accettabile? Chi ha seguito con indifferenza, in una società che tutto riduce a spettacolo, il divampare del fuoco, ha dimostrato quanto ormai la risonanza simbolica di figure e memorie stia evaporando. E nelle stessa misura il rispetto dovuto a monumenti da conservare con scrupoloso riguardo o a regole da accettare con combattiva lealtà.