Da San Lorenzo al Duomo Quanti varchi da chiudere
Un test sulla sicurezza delle vie d’accesso al centro. C’è molto lavoro da fare
Il professor Lombardi È impossibile blindare tutta la città. Ma si può rendere la vita difficile ai terroristi e così costringerli a desistere
Prima la mappatura dei varchi scoperti, poi il lavoro per mettere in sicurezza le strade e le piazze più frequentate del centro storico. Firenze vuole imparare dalle tragedie di Nizza, di Berlino, di Barcellona, per evitare attacchi terroristici compiuti con camion o furgoni lanciati sulla folla. E il lavoro da fare è molto, moltissimo. Perché se è vero che da un lato la geografia delle strade del centro di Firenze rende difficile ai grossi mezzi l’avere spazio sufficiente per accelerare, dall’altro i varchi scoperti sono davvero numerosi.
Tra zone come il Duomo in cui le protezioni ci sarebbero ma vengono «dimenticate», ad altre come piazza della Signoria dove invece di strumenti difensivi non c’è traccia.Una delle aree prese in esame dalle autorità pubbliche è il mercato di San Lorenzo. Si tratta forse del «buco» più importante di tutta la città. La piazza, oggi parzialmente pedonalizzata, è quasi sempre libera. E al suo termine iniziano i banchi del mercato di via dell’Ariento: un imbuto con pochissime vie di fuga per i passanti, senza un pilomat né una catena. E mentre un pilomat c’è nella strettissima via Sant’Antonino, dall’altro lato del mercato c’è un altro lato scoperto, quello di via Panicale. In Duomo, invece, le protezioni ci sarebbero quasi da ogni lato. Tranne via dei Servi, senza alcuna barriera (proprio da lì qualche settimana fa è transitato un pullman che è arrivato fino al Battistero), si va dal triplo pilomat di via Martelli a quello singolo di via Ricasoli, fino alle catene sugli altri accessi. Ma sia sul lato di via dell’Oriuolo, sia su quello di via dei Pecori (dove a pochi metri c’è una camionetta dell’esercito), ci sono varchi in cui la catena è stata tolta. Proprio dietro la Cattedrale, l’accesso più pericoloso. Perché davanti all’Opera del Duomo ci sono ampi spazi vuoti, mentre poco più avanti comincia la fila dei turisti per la cupola del Brunelleschi.
Il vero colabrodo, però, è via Calzaiuoli. Gli accessi laterali sono tantissimi. E da lì, è possibile dirigersi sia verso il Duomo sia in piazza della Signoria senza trovare ostacoli: da via Tosinghi, da via degli Speziali e da via della Condotta gli accessi più larghi e del resto molto utilizzati da taxi e Ncc. Palazzo Vecchio è esposto da ogni lato: via dei Gondi, via della Ninna e via Vacchereccia sono indifese. E mentre piazza della Repubblica ha le sue catene e i suoi pali di metallo, da via Roma a Calimala la strada è libera: il primo tratto sembra un’autostrada, il secondo, già prima della loggia del Porcellino, ha sempre una folla di turisti fitta come una foresta.
Persino Ponte Vecchio, con la massima concentrazione di folla della città, dove anche i ciclisti devo scendere dalla sella e spingere la bici a mano, è scoperto. Se sul lato Uffizi ad essere vulnerabile è solo lungarno degli Archibusieri (la curva a novanta gradi col ponte sembra troppo stretta per manovre rapide), dall’Oltrarno invece il pericolo c’è: l’accesso al Ponte, oggi senza protezioni, è esattamente sulla stessa linea di via Guicciardini.
In alcuni casi il lavoro da fare per mettere in sicurezza le zone più frequentate del centro città è limitato: da San Lorenzo a Ponte Vecchio, si tratta solo di intervenire in pochi punti scoperti. Neppure in Duomo, le protezioni da creare sono moltissime. Più impegnativo il lavoro da fare su piazza della Signoria. Ma la fragilità più importante è la permeabile via Calzaiuoli: troppi gli accessi per pensare di poterla proteggere in tutta la sua lunghezza. Comune e Prefettura potrebbero decidere di intervenire alla radice, ovvero controllando — ad esempio con un pilomat — l’accesso in via dei Pecori o in via Roma: così, tutto il lato di via Calzaiuoli che guarda verso piazza della Repubblica sarebbe automaticamente protetto. Sembra invece meno in sofferenza l’Oltrarno, a causa delle strade molto strette che impediscono accelerazioni di rilievo.
Ma, una volta che la autorità saranno intervenute, i fiorentini potranno sentirsi protetti? «La certezza assoluta non possiamo mai averla, ma dobbiamo tener conto della cosiddetta economia della pigrizia». A dirlo è il professor Marco Lombardi, esperto di sicurezza, terrorismo e gestione delle emergenze alla Cattolica di Milano: «Anche il terrorista fa, come tutti, un’analisi dei costi e dei benefici, anche il terrorista è condizionato dalla “pigrizia” e dalla necessità di trovare delle soluzioni facili: colpisce solo dove ci sono, dal suo punto di vista, buone opportunità. Per questo non serve blindare un’intera città, bisogna invece rendergli le cose difficili in modo da farlo desistere dal suo intento».
Secondo Lombardi, l’attacco di Barcellona è un’anomalia rispetto agli ultimi casi di terrorismo in Europa, perché «è entrata in azione una piccola cellula, non si è trattato dell’azione spontanea di un singolo». Tuttavia, siamo lontani dal modello 11 settembre: «Non siamo più di fronte a un legame diretto tra mandanti ed esecutori. Oggi Daesh (Isis, ndr) non ha contatti con chi ha compiuto gli attentati a Parigi, Berlino, Nizza o Barcellona. Diffonde invece delle riviste web con le quali spiega come utilizzare strumenti comuni, come un furgone o un camion, per trasformarli in armi. Daesh ha capito che organizzare attentati con armi da fuoco o esplosivi è complicato, perché l’acquisto rischia di essere scoperto così da far saltare l’attentato».
Le riviste online diffuse dal Medio Oriente insegnano a usare coltelli, furgoni, camion, gli incendi, i droni. «Questo da un lato rende più difficile difendersi perché qualsiasi cane sciolto può attaccare le nostre città — prosegue Lombardi — Ma dall’altro lato ci permette di individuare gli strumenti con i quali difenderci. E in questo momento, se l’attacco col camion e col furgone è il più semplice da realizzare è pur vero che stiamo imparando come proteggerci, come ridurre il rischio».