L’EGITTO, CAMBRIDGE: DI CHI È OSTAGGIO LA VERITÀ SU REGENI
Da allora, la verità su mandanti ed esecutori del feroce omicidio di Regeni — alla cui memoria il prossimo 15 settembre L’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano (Arezzo) renderà omaggio attribuendogli il premio «Tutino giornalista» — è in ostaggio dei servizi di sicurezza egiziani. Ma non sono gli unici a custodirla. Nel lungo e approfondito reportage pubblicato in questi giorni dal
New York Times sulla morte del dottorando, mancava un pezzo fondamentale: il ruolo dell’università di Cambridge, che si è rifiutata fin da subito di collaborare con le autorità italiane. Maha Abdelrahman, la supervisor di Regeni, ha scelto di non parlare con l’Italia. Perché?
Dopo l’omicidio, Federico Varese, criminologo italiano che lavora a Oxford, scrisse sulla Stampa un articolo per dire che i «suoi docenti devono assumersi la responsabilità di quella scelta (la scelta di andare al Cairo, ndr). Hanno approvato un tema di tesi che sapevano avrebbe messo in grave pericolo la vita di Giulio, come purtroppo è avvenuto». Il 16 agosto il generale Dino Tricarico, già consigliere per la sicurezza di Palazzo Chigi, ha rilasciato un’intervista a Tiscali News per sottolineare che il ruolo di Cambridge deve essere ancora approfondito. «Tutta la parte della storia relativa a Cambridge, ai professori, all’incarico di Giulio è ancora molto opaca. E questo non aiuta a trovare la verità». Il generale si riferisce «al fatto che nel 2016, pochi mesi dopo la tragedia di Regeni, l’università di Cambridge ha provato ad ingaggiare un altro studente italiano e a mandarlo al Cairo per svolgere inchieste analoghe a quelle di cui si occupava Giulio. Cioè, gli inglesi ci hanno provato di nuovo. Perché? Qual è il vero obiettivo di quell’università?». Il ragazzo poi, aggiunge Tricarico, non è partito, «fortunatamente il ricercatore ha messo alcune condizioni alla sua partenza, cose del tipo “vado solo se le autorità egiziane sono informate della mia presenza e del mio ruolo”. Cambridge ha lasciato perdere». Insomma, «è necessario capire e sapere chi c’è dietro questi incarichi, cosa si muove. Questo è un aspetto totalmente trascurato in quel gigantesco buco nero che è il sequestro, le torture e poi il ritrovamento del cadavere dello studente friulano».
La sorella di Giulio Regeni, Irene, a luglio era davanti all’università di Cambridge per chiedere, inutilmente purtroppo, la verità. Il problema è come ottenerla; e quella che ci verrebbe offerta sarebbe comunque una verità attendibile o solo una verità di comodo? Difficile rispondere. Ma intanto riportare l’ambasciatore italiano in Egitto, come annunciato prima di Ferragosto, ripristina un canale diplomatico e comunicativo che potrà essere utile. La famiglia la considera «una resa» ed è comprensibile che lo dica. Ma davvero l’assenza dell’ambasciatore al Cairo avrebbe fatto sentire il governo egiziano e i suoi servizi di sicurezza sotto pressione, specie sul lungo periodo? Davvero l’assenza dell’ambasciatore avrebbe aiutato a rendere nitida la verità sulla morte del ricercatore italiano? Se il delitto è stato commesso da qualcuno dei servizi di sicurezza sicuramente non si consegnerà spontaneamente, visto che fin dall’inizio di questa triste vicenda abbiamo assistito, da parte degli egiziani, a temporeggiamenti ed evidente depistaggi. Ci sono anche motivi di realpolitik, vale a dire di interesse nazionale. Ma la ricerca della verità e l’interesse nazionale (concetto sul quale spesso bisognerebbe avere più chiarezza, ma il difficile certe volte consiste nello stabilire che cosa sia) possono stare insieme. E, realpolitik per realpolitik, anche l’Egitto adesso dovrebbe replicare con altrettanta precisione alla decisione dell’Italia di riportare l’ambasciatore. Per esempio rinunciando a qualche generale o colonnello, se è vero che nella catena di comando ci sono settori in rivolta contro altri e il corpo di Regeni, lasciato in bella mostra proprio per essere ritrovato, era un macabro messaggio.
Su Palazzo Vecchio e di Palazzo Strozzi Sacrati continua a campeggiare lo striscione giallo. Come non farlo diventare un sempiterno monumento all’ipocrisia?