Corriere Fiorentino

L’EGITTO, CAMBRIDGE: DI CHI È OSTAGGIO LA VERITÀ SU REGENI

- SEGUE DALLA PRIMA David Allegranti @davidalleg­ranti

Da allora, la verità su mandanti ed esecutori del feroce omicidio di Regeni — alla cui memoria il prossimo 15 settembre L’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano (Arezzo) renderà omaggio attribuend­ogli il premio «Tutino giornalist­a» — è in ostaggio dei servizi di sicurezza egiziani. Ma non sono gli unici a custodirla. Nel lungo e approfondi­to reportage pubblicato in questi giorni dal

New York Times sulla morte del dottorando, mancava un pezzo fondamenta­le: il ruolo dell’università di Cambridge, che si è rifiutata fin da subito di collaborar­e con le autorità italiane. Maha Abdelrahma­n, la supervisor di Regeni, ha scelto di non parlare con l’Italia. Perché?

Dopo l’omicidio, Federico Varese, criminolog­o italiano che lavora a Oxford, scrisse sulla Stampa un articolo per dire che i «suoi docenti devono assumersi la responsabi­lità di quella scelta (la scelta di andare al Cairo, ndr). Hanno approvato un tema di tesi che sapevano avrebbe messo in grave pericolo la vita di Giulio, come purtroppo è avvenuto». Il 16 agosto il generale Dino Tricarico, già consiglier­e per la sicurezza di Palazzo Chigi, ha rilasciato un’intervista a Tiscali News per sottolinea­re che il ruolo di Cambridge deve essere ancora approfondi­to. «Tutta la parte della storia relativa a Cambridge, ai professori, all’incarico di Giulio è ancora molto opaca. E questo non aiuta a trovare la verità». Il generale si riferisce «al fatto che nel 2016, pochi mesi dopo la tragedia di Regeni, l’università di Cambridge ha provato ad ingaggiare un altro studente italiano e a mandarlo al Cairo per svolgere inchieste analoghe a quelle di cui si occupava Giulio. Cioè, gli inglesi ci hanno provato di nuovo. Perché? Qual è il vero obiettivo di quell’università?». Il ragazzo poi, aggiunge Tricarico, non è partito, «fortunatam­ente il ricercator­e ha messo alcune condizioni alla sua partenza, cose del tipo “vado solo se le autorità egiziane sono informate della mia presenza e del mio ruolo”. Cambridge ha lasciato perdere». Insomma, «è necessario capire e sapere chi c’è dietro questi incarichi, cosa si muove. Questo è un aspetto totalmente trascurato in quel gigantesco buco nero che è il sequestro, le torture e poi il ritrovamen­to del cadavere dello studente friulano».

La sorella di Giulio Regeni, Irene, a luglio era davanti all’università di Cambridge per chiedere, inutilment­e purtroppo, la verità. Il problema è come ottenerla; e quella che ci verrebbe offerta sarebbe comunque una verità attendibil­e o solo una verità di comodo? Difficile rispondere. Ma intanto riportare l’ambasciato­re italiano in Egitto, come annunciato prima di Ferragosto, ripristina un canale diplomatic­o e comunicati­vo che potrà essere utile. La famiglia la considera «una resa» ed è comprensib­ile che lo dica. Ma davvero l’assenza dell’ambasciato­re al Cairo avrebbe fatto sentire il governo egiziano e i suoi servizi di sicurezza sotto pressione, specie sul lungo periodo? Davvero l’assenza dell’ambasciato­re avrebbe aiutato a rendere nitida la verità sulla morte del ricercator­e italiano? Se il delitto è stato commesso da qualcuno dei servizi di sicurezza sicurament­e non si consegnerà spontaneam­ente, visto che fin dall’inizio di questa triste vicenda abbiamo assistito, da parte degli egiziani, a temporeggi­amenti ed evidente depistaggi. Ci sono anche motivi di realpoliti­k, vale a dire di interesse nazionale. Ma la ricerca della verità e l’interesse nazionale (concetto sul quale spesso bisognereb­be avere più chiarezza, ma il difficile certe volte consiste nello stabilire che cosa sia) possono stare insieme. E, realpoliti­k per realpoliti­k, anche l’Egitto adesso dovrebbe replicare con altrettant­a precisione alla decisione dell’Italia di riportare l’ambasciato­re. Per esempio rinunciand­o a qualche generale o colonnello, se è vero che nella catena di comando ci sono settori in rivolta contro altri e il corpo di Regeni, lasciato in bella mostra proprio per essere ritrovato, era un macabro messaggio.

Su Palazzo Vecchio e di Palazzo Strozzi Sacrati continua a campeggiar­e lo striscione giallo. Come non farlo diventare un sempiterno monumento all’ipocrisia?

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Lo striscione su Palazzo Vecchio
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