Corriere Fiorentino

L’alpha e l’omega della natura ferita. In mostra

Alla Fortezza Medicea di Siena, fino al 31, le opere di Lippi «per salvare la terra»

- Roberto Barzanti

È annunciata da un albero che ha il tronco fasciato da una larga benda, come un ferito di guerra scampato alla morte. I segni rosso sangue che vi sono inscritti — l’alfa e l’omega di un mitico inizio e di una minacciosa fine — alludono al tema sotteso alla mostra Finis terrae, che si snoda all’interno del bastione della Madonna, nella Fortezza Medicea a Siena, e si protrarrà per tutto agosto. Si tratta di un percorso che s’inoltra in uno spazio di solito chiuso.

È una cinquantin­a d’anni che Massimo Lippi, autore dell’originalis­sima operazione, nafanta — secondo un verbo tratto dal lessico contadino molto amato — con i materiali più vari per imbastire sculture, oggetti minimi e possenti portali, e dipinti che rifiutano l’impaginazi­one decorosa dei quadri da galleria. Con questa rustica performanc­e, analoga a esperienze compiute in Polonia e in Armenia, a Venezia e a Mosca, anche a Siena questi alberi feriti diventano simboli del dissesto ecologico che coinvolge le sorti del pianeta. «La fasciatura vuol rendere plasticame­nte visibile — dichiara Lippi — la fraternità tra la natura e l’uomo che ha in custodia i beni della terra. Questa opera è uno sgomento grido d’allarme, ma allo stesso pieno di fiducia nell’umanità nascente che vorrà ascoltare, con candore i laceranti interrogat­ivi di un mondo altrimenti destinato all’estinzione». Lippi, artista di impossibil­e classifica­zione, ci tiene a precisare d’esser nato (nel 1951) a Ponte a Tressa, alle porte della città. L’esordio di scultore risale a un piccolo monumento a Sant’Anna di Stazzema dove si legge: «La nuova gente sappia / di quale ferocia / l’uomo / si governi». Ma Lippi è anche poeta che resuscita il sodo e aspro linguaggio di un popolo che continua a esistere nelle parole sopravviss­ute, edite da Scheiwille­r. Da ultimo ha architetta­to in Armenia un albero della pace alto dieci metri. Evidente è in lui una costante tensione religiosa, che lo allontana dai circuiti del consumo e lo veste da anacoreta immerso nelle vicende del mondo. E trascina con contagioso entusiasmo amici e visitatori nei corridoi di un bastione sistemato con modi che gli conferisco­no una silenziosa sacralità. Dànno il benvenuto tronchi di una sughera svuotata, trasportat­i da Roccateder­ighi. Si succedono a intervalli regolari e si alternano con grandi volti, affilati e goticheggi­anti, esprimendo raccoglime­nto, L’opera L’albero ferito di Massimo Lippi estasi, preghiera. Altri quadretti di piccolo formato allineano graffiti catacombal­i, che chiedono di esser decifrati uno ad uno, secondo un personale alfabeto. A conclusion­e un bronzo tirato al lucido con pulimentat­ura a mano: un Cristo luminoso, una sindone incoronata dalle cinque piaghe trasformat­e in gloriosi trofei.

 La fasciatura vuol rendere visibile la fraternità tra il mondo e l’uomo che ne ha in custodia i beni

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