UN SUICIDIO TRASVERSALE
Nella seduta antimeridiana del 26 luglio scorso del Consiglio regionale della Toscana è stata approvata all’unanimità dei 34 presenti una legge che ne abroga un’altra. In teoria, una cosa buona. Perché come tutti sanno le nostre legislazioni nazionale e regionali sono una selva fitta e oscura in omaggio a una concezione statalistica secondo la quale tutto ha da essere regolato. Dalla culla alla tomba. Ma la legge abrogata ha una sua peculiarità che merita una sottolineatura. Difatti la legge regionale 14 aprile 2003 n. 21 dettava norme in materia di valutazione di insindacabilità dei consiglieri regionali. Ma qui occorre fare un passo indietro e citare due disposizioni della nostra Costituzione. Ai sensi dell’articolo 68 primo comma, i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Mentre l’articolo 122 quarto comma stabilisce la stessa insindacabilità per i consiglieri regionali. Una normativa sacrosanta recepita dal Parlamento britannico di tanti secoli fa. Visto e considerato che per l’addietro un parlamentare d’Oltremanica con la lingua appuntita poteva finire incarcerato nella torre di Londra. Data l’assoluta identità delle due disposizioni costituzionali richiamate, la legge regionale ora abrogata ricalcava in definitiva l’iter previsto nei due rami del Parlamento, secondo il quale la delibera di insindacabilità delle Camere inibisce l’inizio o la prosecuzione dell’azione civile o penale. Salvo ricorso alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzione. Così la legge stabiliva che il consigliere regionale chiamato a rispondere davanti all’autorità giudiziaria per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle sue funzioni ne dava immediata comunicazione al presidente del Consiglio regionale; il Consiglio regionale procedeva alla valutazione di insindacabilità entro il termine di trenta giorni; nel caso di deliberazione consiliare favorevole al consigliere, il presidente del Consiglio regionale la trasmetteva immediatamente all’autorità giudiziaria titolare del procedimento per il seguito di competenza.
Ma la Corte costituzionale ha messo alle Regioni il bastone tra le ruote. E forse è il caso di dire post hoc, ergo propter hoc. Con il proposito di ingraziarsi gli elettori della Lega, alla fine della XIII legislatura la sinistra nel 2001 ha approvato in solitudine una riforma costituzionale demenziale che ha alterato i rapporti Stato-Regioni a tutto vantaggio di quest’ultime.
E la Consulta, inondata di ricorsi soprattutto a proposito delle materie concorrenti, ha pensato bene di limare le unghie alle autonomie territoriali di più alto livello. Quale occasione migliore per ridimensionare le prerogative delle quali godono a norma della Costituzione i consiglieri regionali? Ecco spuntare non certo a caso la sentenza 301 del 2007. A detta dei supremi giudici non è condivisibile la tesi secondo cui il magistrato che proceda nei confronti di un consigliere regionale, di fronte all’asserito effetto inibitorio di una delibera consiliare di insindacabilità, non potrebbe proseguire il giudizio e disporrebbe soltanto della possibilità di proporre conflitto di attribuzione, analogamente al giudice che proceda nei confronti di un parlamentare. E questo perché, a loro dire, l’identità formale degli enunciati di cui agli articoli 68 e 122 della Costituzione «non riflette, tuttavia, una compiuta assimilazione tra le Assemblee parlamentari e i Consigli regionali». Se la tesi della Consulta appare bizzarra, non meno bizzarro è l’operato del Consiglio regionale della Toscana. Prende supinamente atto della giurisprudenza costituzionale e conclude che delle deliberazioni consiliari di valutazione di insindacabilità si può fare tranquillamente a meno. Perché non servirebbero a un bel niente. Ma così il famoso articolo 122 della Costituzione va a farsi benedire. Difatti sarà l’autorità giudiziaria, ed essa sola, a stabilire se le opinioni dei consiglieri siano sindacabili oppure no. Il bello è che la legge abrogativa è stata presentata da consiglieri del Pd, dei Cinque Stelle e della Lega. E cioè da esponenti sia della maggioranza sia delle opposizioni. Perfino il battagliero consigliere dei Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli ha detto di sì perché preferisce il giudizio della magistratura a una delibera assembleare inquinata dalla politica partigiana. Una legge suicida? Più che altro, ha prevalso il fatalismo. Fatto sta che le ombre di Franz Kafka e di Luigi Pirandello hanno fatto capolino per un momento nell’aula consiliare.