Corriere Fiorentino

Addio don Paolo, un sorriso oltre la Sla

Gli anni al Dante, l’impegno in Cl, la missione in Perù dove reincontrò l’ex allievo Renzi. E la malattia

- Viola Centi

In vespa, tra la parrocchia del Sodo, il liceo Dante e il mercatino dei libri usati di Borgo Pinti. Allo stadio, con la sciarpa della Fiorentina; a dirigere il coro alpino in montagna o a Lima, in Perù, in missione. Da tre anni lottava con la Sla, ma mai un lamento, sempre sorridente. A giugno quando non era voluto mancare alla messa a Barbiana in ricordo di don Milani nel 50esimo anniversar­io della sua morte. Don Paolo Bargigia lo si può ricordare con tante immagini, tante vite che hanno reso i suoi 58 anni una testimonia­nza di fede. Ieri, «il Gigia» o «il Bargi», come lo chiamavano i suoi ragazzi, si è spento nella parrocchia di Gesù Buon Pastore di Casellina (Scandicci), in cui risiedeva dal 2016.

«Non si è mai lamentato, in questi anni di malattia. Diceva che era una vocazione nella vocazione». Don Andrea Bellandi, vicario dell’arcivescov­o di Firenze, lo conosceva bene. Ordinati sacerdoti insieme, nel 1985, dall’allora cardinale Silvano Piovanelli, il loro percorso è sempre rimasto intrecciat­o, come con don Giovanni Paccosi: amici, prima ancora che colleghi. «Un appassiona­to educatore tra i giovani della parrocchia del Sodo e nelle scuole, al Dante soprattutt­o» dice Bellandi. Al Sodo rimase vent’anni, divenendo una colonna della comunità di Comunione e Liberazion­e, soprattutt­o tra gli studenti della scuole superiori. Seguì il metodo di don Luigi Giussani, fondatore di Cl alla fine degli anni ‘60: andò a insegnare nelle scuole, portando la testimonia­nza dell’incontro col Movimento. Al liceo classico Dante incontrò anche un giovane Matteo Renzi. Si ritrovaron­o proprio in Perù, quando Renzi si fermò a Lima: «Sapere che anche nei luoghi più lontani del mondo c’è qualcuno che ti aspetta — scrisse su Facebook l’ex premier — anche se arrivi tardi dopo tutte le cene ufficiali e butti giù mezzo chilo di pasta per chiacchier­are liberi, in tre, come ai vecchi tempi: io la chiamo sempliceme­nte amicizia».

La prima avvisaglia della Sla arrivò all’aeroporto di Parigi nel 2014. Lo ha raccontato lui stesso l’anno scorso a Palazzo Vecchio, a un convegno organizzat­o da Aisla. Con un filo di voce parlò della propria sofferenza, lanciando un appello per il diritto alle cure palliative. «In certe malattie — disse — non si possono, adesso, trovare risposte nella medicina. La nostra umanità, quindi, ha bisogno di qualcosa di fondamenta­le: l’esperienza di essere amati. Quello che salva dalla disperazio­ne è il poter affrontare la malattia non in solitudine». E don Paolo non è mai rimasto solo. A centinaia in questi anni sono andati a Casellina a cercarlo, perché «c’era una passione educativa anche nella malattia» racconta monsignor Bellandi. Ultimament­e, aveva anche chiesto di entrare fra gli Oblati benedettin­i olivetani di San Miniato. Mercoledì aveva guardato in tv la Fiorentina contro il Real Madrid scherzando come sempre. La crisi respirator­ia alle 4 del mattino, «poi, senza riprendere conoscenza, nella mattinata ci ha lasciati», dice Bellandi. Don Giovanni ha affidato a Facebook e a sms l’annuncio della morte del «Gigia». «Non ha mai vissuto il sacerdozio e la sua missione più intensamen­te che in questi tre anni di malattia».

L’ultimo saluto a don Paolo sarà alla chiesa di Gesù Buon Pastore a Casellina, Scandicci, domani alle 15. A celebrare le esequie sarà il cardinale arcivescov­o Giuseppe Betori. Ieri sera, in parrocchia così come al Meeting di Comunione e Liberazion­e in corso a Rimini, in molti si sono ritrovati per recitare un rosario di suffragio.

 Così nel 2016 A volte la medicina non dà risposte, ma è più importante essere amati

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Sopra: don Paolo Bargigia (ultimo a destra) con l’arcivescov­o Betori in Perù nel 2012. A destra alla messa per don Milani a Barbiana lo scorso luglio. In alto nel 2016 quando, anche se con un filo di voce e la maschera dell’ossigeno portò la sua...
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