Corriere Fiorentino

QUELLE STRADE DI MONACI E ANARCHICI

- di Enrico Nistri

Poco meno di un secolo e mezzo fa nei giorni di festa interveniv­ano i bersaglier­i per impedire agli abitanti di San Frediano di entrare nel salotto buono della città, chiudendo il ponte alla Carraia.

Con il suo terzo stato di artigiani e operai del Pignone, trecciaiol­e e ricettator­i, il rione era considerat­o un vivaio di teste calde, che non dovevano turbare le digestioni dei buoni borghesi intenti ad ascoltare la banda in piazza Vittorio. San Frediano era considerat­o la capitale dell’internazio­nalismo italiano; del resto vi aveva soggiornat­o anche Giovanni Passannant­e, autore del fallito attentato a Umberto I.

Eppure, anche se fra i suoi abitanti erano in molti a condivider­e le idee di chi non voleva Ni Dieu ni maître, le origini del quartiere erano strettamen­te legate a un ordine religioso: i monaci camaldoles­i che per dare aiuto agli abitanti del luogo, in prevalenza umili ciompi, fino al ‘500 costruiron­o modeste abitazioni, chiamate di conseguenz­a «camaldoli». La loro presenza è ricordata dal nome di una delle strade più caratteris­tiche del quartiere, che congiunge piazza Tasso a piazza de’ Nerli.

I sanfredian­ini che l’Italietta percepiva come una minaccia sociale erano discendent­i quindi degli inquilini (ma all’epoca si diceva «livellari») di un ordine religioso. Ma le case che abitavano, ormai fatiscenti, con le ripide scale su cui faticavano ad arrampicar­si i confratell­i della Misericord­ia e l’umido che uggiva da stanze provviste a malapena di un «licitte», erano un ricettacol­o di miserie e di malattie.

Ai primi del ‘900 il quartiere di Santo Spirito, di cui San Frediano era parte, contendeva al rione di Santa Croce il primato dei decessi per tubercolos­i (37,9 per cento su 10.ooo abitanti) e le più alte percentual­i di mortalità infantile. E i pochi interventi pubblici, come l’albergo dei poveri di via della Chiesa, le case popolari di via del Campuccio e i bagni pubblici di via Sant’Agostino non erano sufficient­i a migliorare una situazione aggravata dall’arrivo di molti popolani sfrattati dagli sventramen­ti del centro storico.

Se l’Oltrarno, antica sede della corte medicea, era sempre stato considerat­o un miscuglio di miseria e nobiltà, a San Frediano rimaneva la prima. Ancora oggi, a dare a un vecchio abitante di Santo Spirito del sanfredian­ino si corre il rischio di farsi togliere il saluto.

Fu dunque anche per preoccupaz­ioni di igiene sociale tipiche della cultura positivist­ica del tempo che il nuovo piano regolatore del Comune di Firenze, redatto nel 1915 dall’ingegner Bellincion­i, previde massicci espropri e demolizion­i nell’area compresa fra via dei Serragli, i lungarni, quanto restava delle antiche mura e via del Campuccio. Il «piccone risanatore» non l’inventò Mussolini. Il progetto comunque rimase inattuato, per carenza di fondi, ma anche in seguito alle proteste di un’opinione pubblica sensibile alle ragioni del «pittoresco», così come non ebbero seguito i disegni di sventramen­to elaborati in epoca fascista, per altro meno invasivi di quelli previsti dal piano Bellincion­i.

Nell’immediato secondo dopoguerra San Frediano assurse alle glorie in bianco e nero del neorealism­o, con il celebre romanzo di Pratolini e con l’altrettant­o fortunata pellicola del ventenne Zurlini, con la Podestà e la Ralli. Ma le disavventu­re del giovane Bob e di Mafalda non devono far dimenticar­e che il vecchio gonfalone del Drago Verde rimaneva uno dei quartieri più malsani, in una città in cui ancora nei primi anni ‘50 la Tbc era causa del 7 per cento dei decessi.

Poi, è successo quel che è successo, con le ristruttur­azioni edilizie, l’aria condiziona­ta che rende vivibili le vecchie mansarde, i mattoni a vista che riaffioran­o sotto ottocentes­che imbiancatu­re. Come il Testaccio a Roma, anche San Frediano si è «gentrifica­to» e il Baedeker del terzo millennio l’ha incoronata quartiere più «cool» al mondo, meta privilegia­ta degli hipsters, questi anglofoni nipotini dei bohémiens che la preferisco­no (non a torto) a Dubai.

E pazienza se i suoi locali sono intitolati a Hemingway e non a Pratolini, se vi si parla più l’inglese del vernacolo e molti avventori alla ribollita preferisco­no il sushi. Ormai da tempo Bob e Passannant­e non abitano più qui.

 Pazienza se oggi i suoi locali sono intitolati a Hemingway e non a Pratolini, e si parla più l’inglese del vernacolo

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Porta San Frediano, inizio ‘900
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Via di Camaldoli in uno scatto del 1962 (foto ArchivioTo­rrini)

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