I laboratori negli alloggi per sfuggire ai controlli
La stretta di controlli e ispezioni sulle ditte fuori norma può avere un rovescio della medaglia: la produzione si sposta, non siamo più di fronte capannoni che diventano case, ma a case trasformate in laboratori. Così i rischi si moltiplicano e, soprattutto, i controlli diventano praticamente impossibili.
«Lo spostamento della produzione nelle case private è problema insormontabile». Renzo Berti è il responsabile regionale del piano straordinario per il lavoro sicuro. Da quasi quattro anni combatte in prima linea la battaglia per l’adeguamento delle aziende fuori norma nel nord della Toscana. È lui a tratteggiare lo spaventoso scenario che questa vicenda svela, spiegando le cause di un fenomeno che si annuncia in pericolosa espansione. Il fatto incontrovertibile è rappresentato dal luogo dove è scoppiato l’incendio: uno spazio utilizzato sia come azienda che come abitazione. Questo elemento ha riportato alla mente della comunità e degli investigatori il rogo pratese del primo dicembre del 2013. Con un ribaltamento della prospettiva dirimente: stavolta è l’abitazione ad essere stata trasformata in un laboratorio e non il contrario.
Questa potrebbe essere la spia di uno spostamento della produzione cinese all’interno delle abitazioni. «Abbiamo già avuto segnalazioni in questo senso nella zona dell’empolese — spiega Renzo Berti — Non possiamo dirlo con certezza, perché mancano i riscontri: proprio questo è il problema, l’invisibilità di queste ditte ai nostri occhi».
Il responsabile regionale del piano straordinario chiarisce anche le cause di questa eventuale deriva: «Da quel che mi risulta la titolare cinese del contratto d’affitto dell’abitazione andata a fuoco aveva un’azienda nella zona industriale di Prato che ha chiuso negli scorsi anni. Il pressing che abbiamo esercitato sui luoghi di lavoro con i controlli, evidentemente, sta producendo non solo adeguamenti e buone pratiche. Come ci aspettavamo ci sono due effetti collaterali che dobbiamo evitare: il sovraffollamento di alcune zone residenziali da parte di cinesi che non vivono più in azienda e, soprattutto, lo spostamento della produzione nelle case private. Ne avevamo parlato con i magistrati pratesi già negli scorsi mesi — conclude Berti — perché la preoccupazione è che il fenomeno si sviluppi ulteriormente: ci vuole una risposta sociale, perché noi nelle case non possiamo entrare». Nelle case si entra solo con un mandato di perquisizione dell’autorità giudiziaria.
Del trend ha piena consapevolezza il vicesindaco pratese Simone Faggi che ha parlato chiaramente di «nuova sfida» per la città, giacché «i nuovi luoghi di produzione, in nome dell’abbattimento dei costi, non sono più i classici capannoni, ma sono garage, soffitte o mansarde, come nel caso della Tignamica». Per contrastare questo fenomeno, secondo Faggi, «è necessaria una ancora maggiore collaborazione, in primo luogo degli imprenditori e dei proprietari degli immobili, a cui chiediamo che dopo aver affittato vadano oltre i controlli formali, attuando invece controlli attenti e assidui che possano evitare rischi per le persone e le proprietà. Questo soggiacere tutto all’idea della produzione è insopportabile e, purtroppo, ha prodotto questa nuova e intollerabile tragedia».