La misura di un secolo
Pistoia celebra Marino Marini: «Rileggiamo il Novecento attraverso la sua arte» A Palazzo Fabroni dal 16 settembre al 7 gennaio. Il maestro a confronto con Picasso e Rodin
È l’esposizione punta di diamante delle celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della Cultura 2017
Le opere di Marino Marini sono messe in relazione con altri giganti come Picasso, Rodin e Henry Moore con cui si è confrontato
Quando un artista crea attorno a sé un’aura di leggenda e sottopone le esegesi sulla propria opera ad un rigido controllo, il rischio che esca dalla storia e che, di conseguenza, il racconto e le letture della critica diventino «seriali» è altissimo. È ciò che è accaduto a Marino Marini, uno dei pilastri della scultura italiana del Novecento. In questi casi, il lavoro dello storico dell’arte diventa essenziale per ricucire lo strappo e restituire l’artista a quella storia da cui si è (ed è stato) sottratto. Obiettivo, questo, che Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi si sono prefissati con la curatela di Marino Marini. Passioni visive (Pistoia, Palazzo Fabroni, 16 settembre 2017-7 gennaio 2018), importante mostra di ricerca organizzata dalla Fondazione Marino Marini e dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim, che si annuncia come un evento imperdibile dalla risonanza nazionale. Sì perché dopo Pistoia, dove è attesa come l’esposizione di punta nell’ambito delle celebrazioni di Pistoia Capitale italiana della Cultura 2017, la rassegna sarà trasferita nel Palazzo Venier dei Leoni di Venezia, sede della prestigiosa Collezione Peggy Guggenheim.
«Il lavoro sulle fonti e sul contesto dell’arte del Novecento — raccontano i curatori — è stato fondamentale per rimettere in dialogo Marini con il secolo in cui è vissuto e per spiegare al pubblico, per la prima volta, che la sua opera è fortemente connessa con i linguaggi della scultura a lui coeva e quindi anche con quelli di un ricco passato che dall’antichità egizia a quella greco-arcaica ed etrusca passa per la scultura medievale e rinascimentale per giungere fino all’Ottocento». Nelle dieci sezioni cronologico-tematiche gli episodi della carriera di Marini sono stati riletti da una prospettiva inedita.
Nella prima, dedicata agli esordi arcaisti, i ritratti si alterneranno a preziosi canopi e urne cinerarie etrusche e a un Busto di giovane di ambito verrocchiesco. In quella dedicata al tema del nudo virile negli anni Trenta invece, due sculture in legno di Marini — una delle quali proviene dalle collezioni del Centre Pompidou di Parigi — saranno messe a confronto con due bronzi, rispettivamente di Arturo Martini e Giacomo Manzù: «Il tema del nudo maschile — spiegano i curatori — fu centrale negli anni del fascismo: da sempre è considerato il più impegnativo per uno scultore poiché invita a un confronto con i modelli statuarivelare ri della grande tradizione museale e obbliga l’artista a misurarsi con la ricchezza di motivi plastici che, per la sua tessitura muscolare, il corpo maschile possiede più di quello femminile».
In questa sezione scopriremo quanto distante sia stato Marini dall’idea di «nudo eroico» che il regime promuoveva, mentre quella dedicata al nudo femminile vedrà il paragone sia con l’artista francese Aristide Maillol, che sarà rappresentato da Harmonie, scultura dalla gestazione lunga e tormentata proveniente dalla parigina Fondation Dina Vierny-Musée Maillol, che con un’opera del Museum Kunstpalast di Düsseldorf di Ernesto de Fiori: «Sarà così evidente la posizione occupata da Marini nella storia della scultura europea di estrazione post-rodiniana». A poi la sua passione per l’arte gotica e per le forme allungate sarà invece uno splendido Crocifisso ligneo trecentesco alto due metri che Marini stesso acquistò per la propria collezione.
Il capitolo dedicato agli espressionismi metterà l’accento sulla produzione dell’inizio degli anni Quaranta, quando le figure mostrano un’intensità espressiva «in linea col clima di travagliata avanguardia artistica che caratterizzò l’opposizione di molti artisti durante la seconda guerra»: e qui alle opere di Marini verranno affiancati alcuni capolavori come un busto di Desiderio da Settignano del Museo del Bargello, due sculture di Rodin, prestiti eccezionali del Musée Rodin, tra cui la Muse tragique, e una Pomona della scultrice Germaine Richier proveniente da Rennes. L’ultima sezione accoglie le nuove sfide formali del secondo dopoguerra: «Per arricchire il tema dei cavalli e dei cavalieri, sondato in ogni variante, e declinarlo in un nuovo schema di tensioni visive che alludevano a tragiche vicende della guerra, Marini si confrontò anche con Picasso del quale esporremo Femme et chien jouant, dipinto nel 1953, per chiudere con un parallelo inedito con Henry Moore, altro gigante della scultura del secolo».
Per Maria Teresa Tosi, direttore della Fondazione Marino Marini, finora «nella vicenda espositiva e nella letteratura scientifica su Marini è mancato un serio lavoro di contestualizzazione storica e stilistica della sua ricerca». E non c’è dubbio che se per Pistoia questa mostra sarà una vetrina cruciale, per Marini sarà l’occasione di tornare a essere un protagonista del modernismo novecentesco internazionale.
Il nudo maschile fu centrale per il fascismo, ma il suo non era un nudo eroico