LA BORSA DELL’AMORE (MONDANITÀ ALLE CASCINE)
Uno dei momenti saliente della giornata: i pomeriggi a passeggio nel parco della città Tra dame misteriose e cavalieri, ma senza alcuna traccia della feroce gelosia italiana
Qualche anno fa, in particolar modo prima che gli avvenimenti politici avessero spaventato i turisti benestanti, Firenze era il salotto d’Europa; vi si ritrovava alla grande tutto quel mondo dorato della stagione dei bagni. Vi si recavano, da ogni angolo del mondo, inglesi in fuga dalle nebbie native, russi che si scrollavano di dosso la neve di un inverno lungo sei mesi, francesi che intraprendevano il viaggio alla moda, tedeschi alla ricerca del naturale nell’arte, e ancora cantanti e ballerine ritiratisi dalle scene, esistenze e fortune problematiche, regine decadute, graziose coppie unite a GretnaGreen o più semplicemente davanti all’altare della natura, mogli separate dai mariti per un motivo o per un altro, grandi dame che avevano fatto qualche colpo di testa, principesse con al seguito tenori o giovanotti dalla barba nera, elegantoni semirovinati da Baden Baden o Spa, le vittime della zecchinetta o del credito parigino, vecchie zitelle che sognavano di andare incontro a qualche travolgente avventura, tutta un’umanità equivoca e assai varia ma vivace, spiritosa, allegra, alla ricerca del piacere più sfrenato e spendendo il denaro con tanta più spensieratezza in quanto il lusso italiano è relativamente economico. Una società che frequentava i balli aperti a tutti del Granduca e che si divertiva molto. Quella specie di tolleranza universale che faceva accettare qualunque persona si presentasse bene, vestita in modo conveniente e raccomandata da una lettera qualsiasi, introduceva facilmente un truffatore o un’avventuriera in quel salotto cosmopolita; l’unico rischio, semmai, era di non salutarsi più né a Londra né a Parigi, e si godeva in città di una libertà da ballo mascherato. Gli intrighi e gli amori fiorivano senza troppo scandalo; ognuno era troppo occupato per avere il tempo di sparlare. D’altra parte, accusare una donna di avere un amante sarebbe sembrato puerile; la maldicenza iniziava solo se ne aveva due, e la calunnia tre. La passeggiata alle Cascine era uno degli avvenimenti salienti della giornata. Vi si teneva una specie di borsa dell’amore, in cui venivano quotate le azioni delle donne. Madame de B... è in rialzo, madame de N... in ribasso; madame de B... ha lasciato il povero barone de L... per il principe D...; madame de N... è stata tradita con una cantante di second’ordine della Pergola, è grave! Si discutevano e si analizzavano le toilettes, seppure con più negligenza che altrove, perché l’unico scopo era la ricerca del piacere; ma le figlie di Eva pensano sempre un po’ al taglio degli abiti che avvolgono le loro grazie. Tuttavia – e questo è probabilmente dovuto all’influenza del clima – alle Cascine si sono viste alcune parigine innamorate al punto di lasciare da parte la vanità, per guardare solo il loro amante. Il movimento di stranieri è un po’ diminuito: tuttavia le Cascine continuano a offrire, dalle tre alle sette, secondo la stagione, uno spettacolo gioiosamente animato. Allorché vi giungemmo in calesse – sarebbe di pessimo gusto andarci a piedi, benché la distanza che separa la città dalle Cascine sia molto breve - il raduno era al gran completo. Era bel tempo, la temperatura era mite, e il sole faceva scivolare qualche allegro raggio tra leggere nuvole di un cielo a pecorelle. Il rondò delle Cascine rappresentava un immenso salotto, dove i calessi fermi facevano da sofà e da poltrone. Le signore elegantissime erano sprofondate in fondo alla carrozza, colma di fiori sul davanti, in un’infinità di pose studiate per trarne il maggior vantaggio, ostentando le grazie di una célimène da far invidia al Théâtre-Français.
Gli amanti ufficiali, i premurosi e i semplici corteggiatori venivano a far visita al calesse prescelto, come si rende visita a una donna nel suo palco all’Opéra, e chiacchieravano in piedi sul predellino. Lì viene programmata la serata, s’inventano gli espedienti, si decidono gli incontri, senza tante precauzioni né misteri; in effetti, non abbiamo trovato traccia della feroce gelosia italiana, tanto decantata nei melodrammi e nei romanzi. I cavalieri prendono anch’essi parte alla conversazione, dall’alto delle loro focose cavalcature, che governano spronandole a eseguire saltelli cadenzati e innocue prodezze che, agli occhi della donna amata, vi fanno sempre apparire piccoli eroi (…).
Descriveremo, mantenendone l’incognito, alcune delle presenze femminili più degne di nota. Una principessa russa (tutte le russe sono principesse) troneggiava nel suo magnifico calesse, foderato di velluto viola e circondato da uno stuolo di adoratori. Bianca come le nevi del suo paese, le palpebre brunite dal Khol , le labbra rosse, la fronte incorniciata da capelli ondulati di un biondo scuro, quasi castano per la lucentezza degli oli profumati, con una grossa treccia che le faceva da diadema sotto l’aureola del cappello di pizzo, ella ricordava, per un certo aspetto orientale e circasso, la celebre Odalisca di Ingres, resa popolare dalla litografia di Sudre. Le grandi dame russe hanno, nella loro eleganza, un non so che di selvaggio e di sfarzoso, una calma imperiosa nel porgere, una serena indifferenza derivata dalla loro abitudine di regnare sugli schiavi, che conferiscono loro una personalissima fisionomia, troppo facilmente riconoscibile sotto quell’apparenza inglese o francese, che cercano di assumere. Questa avrebbe avuto la parvenza di una Panaghia greca se, invece dei verdi alberi delle Cascine sui quali risaltava la sua testa immobile, avesse avuto lo sfondo d’oro goffrato di un trittico. La mano piccola e affusolata, senza il guanto, carica di enormi anelli, scintillava sul bordo del calesse, simile a una reliquia costellata di gemme che si offre al bacio dei fedeli. Nell’angolo della vettura stava, pietosamente rincantucciata un’amica o una dama di compagnia, dal viso e dagli abiti neutri, ombra rassegnata di quello splendido quadro. Un tempo, le bionde veneziane si facevano seguire da un negro. Era più umano e di miglior effetto, dal punto di vista del colore. In una carrozza inglese tirata da destrieri inglesi, bardati con finimenti inglesi, si trovava un’inglese, circondata da un’atmosfera inglese trasferita da Hyde Park con un procedimento a noi ignoto; le Cascine sparirono ai nostri occhi la prospettiva bluastra degli Appennini si dileguò in una bruma improvvisa e la Serpentine River si sostituì all’Arno (…).
Un’apparizione misteriosa destò molto, all’epoca, anche la curiosità cosmopolita di Firenze: una donna sola, di grande raffinatezza, aveva fatto la sua apparizione alle Cascine, sdraiata all’interno di un calesse scuro, avvolta in un ricco scialle di crepe de Chine bianco, le cui frange le ricadevano fino ai piedi, con un cappello parigino che portava l’esclusiva firma di Madame Royer e creava un’aureola di freschezza intorno al profilo puro e fine, ritagliato come un antico cammeo e che contrastava, per il suo tipo greco, con quell’eleganza tipicamente moderna e quel portamento quasi inglese, assunto forzatamente per darsi un’aria di fredda distinzione. Il collo, leggermente bluastro, tanto era bianco, il rosa uniforme delle guance, gli occhi azzurro chiaro potevano farla scambiare per una bellezza nordica; ma la scintilla di quel suo sguardo di zaffiro era così viva che doveva essere stata accesa in qualche cielo meridionale. I capelli, raccolti in un’acconciatura crespa à bandeau, avevano le tonalità scure e la forza vivace che caratterizzano le bionde dei paesi caldi; un braccio era avvolto nelle pieghe dello scialle, come quello di Mnemosine, l’altro, solcato da un bracciale di grande effetto, usciva pressoché nudo dalla cascata di pizzi di una manica corta e svasata, e giocherellava con una camelia color porpora, portandola con la piccola mano contro la guancia, in un gesto di sognante sventatezza, apparentemente abituale: era forse inglese, italiana o francese? Domanda rimasta senza risposta, in quanto nessuno la conosceva. Fece il giro delle Cascine, si fermò un istante al rondò, affatto preoccupata o sorpresa per uno spettacolo che sembrava nuovo per lei, e riprese il cammino verso la città. L’indomani l’attendemmo invano, ma non riapparve. Quale segreto celava quell’unica passeggiata? La sconosciuta veniva forse a qualche misterioso appuntamento, dato da un capo all’altro d’Europa? Voleva assicurarsi della presenza di una rivale accanto a un amante infedele? Non potemmo mai saperlo. Ma a Firenze non è stata ancora dimenticata quella fugace visione.
Tratto da Viaggio in Italia. Da Venezia a Firenze a cura di Annalisa Bottacin, prefazione di Marie-Hélène Girard, testo francese a fronte. Proprietà letteraria riservata © 2010 La Vita FeliceMilano. Prima edizione, Voyage en Italie, 1852