LA GUERRA DELLA FONTANA E UNA SCOMMESSA PERSA
La querelle per scegliere dove posizionare la fonte in un borgo della campagna in Maremma Un ingegnere che ci rimette dei soldi e alla fine nulla di fatto. «Pietrarsa soffre ancora la sete»
Lo riconobbi da lontano. Lo riconobbi dal suo cavallino bianco, tanto fido e trottatore, e dall’arsenale di pertiche, di biffe e di altri arnesi del mestiere che lui, ingegnere del Comune, si affastellava sul barroccino tutte le volte che aveva da battere la campagna per affari della sua professione. Quando mi fu vicino gli feci un cenno con la mano, e lui rallentò il trotto e si fermò per il saluto e per la chiacchierata indispensabile quando due persone di conoscenza s’incontrano su per i monti, in mezzo ai boschi e in luoghi solitari. - Lei torna dalla strada nuova dell’Acquaviva! -No. Vengo da Pietrarsa dove mi son trattenuto due giorni per quella benedetta fonte... - Ah, a proposito! Siamo ancora a nulla? - Sì; finalmente è tutto sistemato: livellazioni, espropriazioni, permesso della Provincia... è fatto tutto; ho sfilato i fondamenti, ho dato gli ordini all’accollatario, e lunedì, salvo che ce lo impedisca la stagione, si mette mano al lavoro.
- E lei, ingegnere, ci crede proprio? Crede proprio sul serio che la fontana sarà fatta?
- Per Bacco! Che impedimenti vuole che saltino fuori al punto nel quale siamo?
- Si vede che lei, caro ingegnere, mi scusi, veh! si vede che lei non conosce ancora bene che panni vestono i buoni villici di questi poggi remoti.
- Ma, abbia pazienza, cotesto è un pessimismo...
- Ebbe’; oggi siamo agli otto di marzo. Scommettiamo che fra un anno il primo mattone della fontana non è stato ancora murato.
- Le rubo la scommessa; ma scommetto. Che cosa scommettiamo? - Una bella pipa di radica di scopa (...).
Allontanatosi il rumore delle ruote e il cigolio della martinicca, cominciai a sentire lo scroscio d’una cascata d’acqua lontana. Era il famosa sbocco d’una quantità di polle ricchissime, le quali, venendo dall’alto dei poggi e scorrendo quasi alla superficie sotto il paese di Pietrarsa, facevano tutte capo in quel punto, pochi metri sotto la via, e, con un largo getto, di lì si scaricavano sonore nel sottoposto torrente. Lo sbocco di quelle acque era inaccessibile; il paese soffriva la sete e il Comune deliberò, fai fai, l’allacciamento delle vene superiori e la costruzione della fontana. La deliberazione era stata accolta con suono di campane, musica e sbandierate per tutto il giorno, e gran baldoria di lumi e di fiammate, la sera. Non c’è dubbio, pensavo; non manca altro che metter mano ai lavori. Ma fra un anno, caro ingegnere, voi pagherete, e io fumerò alla vostra bella pipa di radica di scopa.
Il paese di Pietrarsa, un piccolo borgo con quattrocento abitanti circa si stende tutto lungo la via provinciale, senza alcuna strada traversa. Di sopra, il monte ripido; di sotto, il precipizio in fondo al quale va a frangersi la cascata. Il paesello ha tre punti che chiameremo centrali: a un capo la chiesa, all’altro un piazzaletto dove trovasi l’unico albergo e le rimesse della posta; nel centro il palazzotto comunale, un caffè e le botteghe più importanti. Naturalmente fu scelto il mezzo del paese come più comodo per tutti, e lì, un rientro di muro accanto al palazzo comunale, facilitava i lavori e si prestava ad accogliere con decoro la fontana che, con fregi barocchi e ceffi di leoni spaventosi, aveva ideato e disegnato il mio ingegnere della pipa. Dopo un’ora di cammino, arrivato a Pietrarsa quasi a buio, mi accorsi subito che gli eventi precipitavano e che gli affari andavano assai peggio di quello che avrei potuto supporre. Gli usci, le finestre e tutte le botteghe del centro erano chiuse; e un grosso assembramento di persone, armate di quei picchetti, di quelle biffe e di quei pali che l’ingegnere aveva piantati la mattina, dopo chi sa quante fatiche e pentimenti, urlavano sotto le finestre del sindaco. Erano gli abitanti dei due punti estremi del paese i quali, alleati per l’occasione, protestavano di non volere la fonte nel centro. E i più violenti, brandendo alti i pali e le biffe, minacciavano legnate, morte e distruzione a chi si fosse azzardato di murare anche una pietra sola nel rientro di muro accanto al palazzo comunale. Le donne e i ragazzi erano i più feroci. Il sindaco si provò tre volte a persuaderli dalla finestra; ma la sua voce fu soffocata sotto un uragano di urli, finché non ebbe promesso di sospendere l’incominciamento dei lavori e di scrivere alla Prefettura (...). In fin dei conti, considerata bene la cosa, i protestanti non avevano torto. Sempre ogni cosa per comodo dei signori! La fontana nel mezzo, eh? perché nel mezzo ci sta il sindaco, tre assessori e quel porcone del sor Girolamo! Bene, eh? I lampioni gli hanno a cavare di cima e di fondo, e piantarli tutti davanti alla spezieria! Hanno a lastricare solamente lì, se voglion far bene! Non gli basta il vino, e vorrebbero anche l’acqua! La fonte lì, il telegrafo lì, la farmacia lì, la balia l’hanno voluta lì, e lì ci avrebbero a portare anche un serpente che s’avventasse a mangiargli il core a tutti quanti sono! Legnate! schioppettate! veleno! ... E noi poveri si creperà. E la chiesa non conta nulla? (...). Intanto a Pietrarsa gli affari andavano di male in peggio. Il Consiglio comunale deliberò, e la Prefettura approvò, che la fontana fosse costruita sulla piazzetta delle rimesse, riconoscendo quello il luogo più adatto per il comodo della popolazione. Ma allora quelli del centro e della chiesa poterono le solite scenate, e tutto fu nuovamente sospeso e accomodato con una gran bastonatura all’accollatario, il quale questa volta si dové mettere a letto e uscirne dopo un mese per andare, tutto fasciato, al debà. Andai per curiosità alla prima seduta del tribunale, dove trovai l’ingegnere chiamatovi come testimone; e allora non poté né scantonare né scansarmi. Era indemoniato. — Venti disegni, questi assassini; cento viaggi m’avranno fatto fare questi malfattori! e nessuno paga gli straordinari! M’hanno rovinato tutti gli strumenti, ho dovuto vendere il mi’ povero cavallino e son vivo per miracolo! Ma oggi mi vendico! Ma oggi mi vendico dovessi anche rimetterci la paga, la reputazione e la pelle! Oggi mi vedico! — Cercai di calmarlo, ma fu inutile. Smanacciando e sbatacchiandosi il cappello nelle ginocchia, mi lasciò per entrare nella stanza dei testimoni dicendomi sull’uscio: — Lei avrà la pipa; ma con questa canaglia oggi mi vendico! — Come si svolgesse il processo non lo so, perché gli affari m’impedirono di tenerci dietro; ma so che ci furono tre condannati: il sor Girolamo quindici giorni di carcere per ingiurie al pubblico dalla finestra; l’accollatario a quattro settimane per eccesso di difesa, e l’ingegnere a trecento lire di multa per contravvenzione alla legge sul bollo.
(...) Anche la seconda deliberazione del Comune andò all’aria; e dopo molti, molti mesi venne finalmente la terza. Venne, cioè, quella buona, quella vera, quella definitiva per conciliare gl’interessi di tutto il paese; una deliberazione giusta, ponderata e distesa con mirabile chiarezza d’argomentazione ed eleganza di forma dal consigliere Balestri; una deliberazione che, riandando scrupolosamente la storia dei fatti, terminava inneggiando alla concordia dei popoli e alla santa religione dei nostri padri. Fu deliberato di costruire la fontana in faccia alla chiesa. Prima che questa deliberazione tornasse al Comune col visto della Prefettura, gli abitanti del centro e quelli della piazzetta delle rimesse, s’erano già trovati d’accordo: — Se murano un mattone davanti alla chiesa, segue un macello! — La deliberazione tornò approvata; ma nessuno si fece più vivo. Il sindaco dètte le dimissioni per procurarsi la soddisfazione d’essere rieletto, e il Segretario fu lesto a mettere tutte quelle carte in uno scaffale a dormire. Dell’accollatario non se n’è saputo più nulla. L’ingegnere ha da pensare alla sua famiglia dopo la multa che ha dovuto pagare, e ha da imporsi privazioni d’ogni genere per estinguere il debito di parecchie centinaia di lire, che gli è toccato contrarre per accomodature e per acquisto di nuovi strumenti.
Son passati due anni, e della pipa non si è più parlato. Lui sta zitto; io non ho il cuore di rammentargliela. Intanto il paese di Pietrarsa soffre la sete. Ma nelle sere d’agosto, quando le fronde dormono raggrinzate sui rami, e le cicale stesse tacciono spossate, è un gran conforto all’arsura lo scroscio della cascata che, larga e perenne, rumoreggiando si perde nelle profondità del dirupo. La Fonte di Pietrarsa, da All’Aria aperta. Scene e macchiette della campagna toscana. Brano tratto dal volume Renato Fucini, Opere a cura di Davide Puccini, © 2011 By Casa Editrice Le Lettere- Firenze. La prima edizione di All’Aria aperta nel 1897.
Naturalmente fu scelto il mezzo del paese come più comodo per tutti I protestanti non avevano torto Sempre ogni cosa per comodo dei signori!