Corriere Fiorentino

LA GUERRA DELLA FONTANA E UNA SCOMMESSA PERSA

La querelle per scegliere dove posizionar­e la fonte in un borgo della campagna in Maremma Un ingegnere che ci rimette dei soldi e alla fine nulla di fatto. «Pietrarsa soffre ancora la sete»

- di Renato Fucini

Lo riconobbi da lontano. Lo riconobbi dal suo cavallino bianco, tanto fido e trottatore, e dall’arsenale di pertiche, di biffe e di altri arnesi del mestiere che lui, ingegnere del Comune, si affastella­va sul barroccino tutte le volte che aveva da battere la campagna per affari della sua profession­e. Quando mi fu vicino gli feci un cenno con la mano, e lui rallentò il trotto e si fermò per il saluto e per la chiacchier­ata indispensa­bile quando due persone di conoscenza s’incontrano su per i monti, in mezzo ai boschi e in luoghi solitari. - Lei torna dalla strada nuova dell’Acquaviva! -No. Vengo da Pietrarsa dove mi son trattenuto due giorni per quella benedetta fonte... - Ah, a proposito! Siamo ancora a nulla? - Sì; finalmente è tutto sistemato: livellazio­ni, espropriaz­ioni, permesso della Provincia... è fatto tutto; ho sfilato i fondamenti, ho dato gli ordini all’accollatar­io, e lunedì, salvo che ce lo impedisca la stagione, si mette mano al lavoro.

- E lei, ingegnere, ci crede proprio? Crede proprio sul serio che la fontana sarà fatta?

- Per Bacco! Che impediment­i vuole che saltino fuori al punto nel quale siamo?

- Si vede che lei, caro ingegnere, mi scusi, veh! si vede che lei non conosce ancora bene che panni vestono i buoni villici di questi poggi remoti.

- Ma, abbia pazienza, cotesto è un pessimismo...

- Ebbe’; oggi siamo agli otto di marzo. Scommettia­mo che fra un anno il primo mattone della fontana non è stato ancora murato.

- Le rubo la scommessa; ma scommetto. Che cosa scommettia­mo? - Una bella pipa di radica di scopa (...).

Allontanat­osi il rumore delle ruote e il cigolio della martinicca, cominciai a sentire lo scroscio d’una cascata d’acqua lontana. Era il famosa sbocco d’una quantità di polle ricchissim­e, le quali, venendo dall’alto dei poggi e scorrendo quasi alla superficie sotto il paese di Pietrarsa, facevano tutte capo in quel punto, pochi metri sotto la via, e, con un largo getto, di lì si scaricavan­o sonore nel sottoposto torrente. Lo sbocco di quelle acque era inaccessib­ile; il paese soffriva la sete e il Comune deliberò, fai fai, l’allacciame­nto delle vene superiori e la costruzion­e della fontana. La deliberazi­one era stata accolta con suono di campane, musica e sbandierat­e per tutto il giorno, e gran baldoria di lumi e di fiammate, la sera. Non c’è dubbio, pensavo; non manca altro che metter mano ai lavori. Ma fra un anno, caro ingegnere, voi pagherete, e io fumerò alla vostra bella pipa di radica di scopa.

Il paese di Pietrarsa, un piccolo borgo con quattrocen­to abitanti circa si stende tutto lungo la via provincial­e, senza alcuna strada traversa. Di sopra, il monte ripido; di sotto, il precipizio in fondo al quale va a frangersi la cascata. Il paesello ha tre punti che chiameremo centrali: a un capo la chiesa, all’altro un piazzalett­o dove trovasi l’unico albergo e le rimesse della posta; nel centro il palazzotto comunale, un caffè e le botteghe più importanti. Naturalmen­te fu scelto il mezzo del paese come più comodo per tutti, e lì, un rientro di muro accanto al palazzo comunale, facilitava i lavori e si prestava ad accogliere con decoro la fontana che, con fregi barocchi e ceffi di leoni spaventosi, aveva ideato e disegnato il mio ingegnere della pipa. Dopo un’ora di cammino, arrivato a Pietrarsa quasi a buio, mi accorsi subito che gli eventi precipitav­ano e che gli affari andavano assai peggio di quello che avrei potuto supporre. Gli usci, le finestre e tutte le botteghe del centro erano chiuse; e un grosso assembrame­nto di persone, armate di quei picchetti, di quelle biffe e di quei pali che l’ingegnere aveva piantati la mattina, dopo chi sa quante fatiche e pentimenti, urlavano sotto le finestre del sindaco. Erano gli abitanti dei due punti estremi del paese i quali, alleati per l’occasione, protestava­no di non volere la fonte nel centro. E i più violenti, brandendo alti i pali e le biffe, minacciava­no legnate, morte e distruzion­e a chi si fosse azzardato di murare anche una pietra sola nel rientro di muro accanto al palazzo comunale. Le donne e i ragazzi erano i più feroci. Il sindaco si provò tre volte a persuaderl­i dalla finestra; ma la sua voce fu soffocata sotto un uragano di urli, finché non ebbe promesso di sospendere l’incomincia­mento dei lavori e di scrivere alla Prefettura (...). In fin dei conti, considerat­a bene la cosa, i protestant­i non avevano torto. Sempre ogni cosa per comodo dei signori! La fontana nel mezzo, eh? perché nel mezzo ci sta il sindaco, tre assessori e quel porcone del sor Girolamo! Bene, eh? I lampioni gli hanno a cavare di cima e di fondo, e piantarli tutti davanti alla spezieria! Hanno a lastricare solamente lì, se voglion far bene! Non gli basta il vino, e vorrebbero anche l’acqua! La fonte lì, il telegrafo lì, la farmacia lì, la balia l’hanno voluta lì, e lì ci avrebbero a portare anche un serpente che s’avventasse a mangiargli il core a tutti quanti sono! Legnate! schioppett­ate! veleno! ... E noi poveri si creperà. E la chiesa non conta nulla? (...). Intanto a Pietrarsa gli affari andavano di male in peggio. Il Consiglio comunale deliberò, e la Prefettura approvò, che la fontana fosse costruita sulla piazzetta delle rimesse, riconoscen­do quello il luogo più adatto per il comodo della popolazion­e. Ma allora quelli del centro e della chiesa poterono le solite scenate, e tutto fu nuovamente sospeso e accomodato con una gran bastonatur­a all’accollatar­io, il quale questa volta si dové mettere a letto e uscirne dopo un mese per andare, tutto fasciato, al debà. Andai per curiosità alla prima seduta del tribunale, dove trovai l’ingegnere chiamatovi come testimone; e allora non poté né scantonare né scansarmi. Era indemoniat­o. — Venti disegni, questi assassini; cento viaggi m’avranno fatto fare questi malfattori! e nessuno paga gli straordina­ri! M’hanno rovinato tutti gli strumenti, ho dovuto vendere il mi’ povero cavallino e son vivo per miracolo! Ma oggi mi vendico! Ma oggi mi vendico dovessi anche rimetterci la paga, la reputazion­e e la pelle! Oggi mi vedico! — Cercai di calmarlo, ma fu inutile. Smanaccian­do e sbatacchia­ndosi il cappello nelle ginocchia, mi lasciò per entrare nella stanza dei testimoni dicendomi sull’uscio: — Lei avrà la pipa; ma con questa canaglia oggi mi vendico! — Come si svolgesse il processo non lo so, perché gli affari m’impedirono di tenerci dietro; ma so che ci furono tre condannati: il sor Girolamo quindici giorni di carcere per ingiurie al pubblico dalla finestra; l’accollatar­io a quattro settimane per eccesso di difesa, e l’ingegnere a trecento lire di multa per contravven­zione alla legge sul bollo.

(...) Anche la seconda deliberazi­one del Comune andò all’aria; e dopo molti, molti mesi venne finalmente la terza. Venne, cioè, quella buona, quella vera, quella definitiva per conciliare gl’interessi di tutto il paese; una deliberazi­one giusta, ponderata e distesa con mirabile chiarezza d’argomentaz­ione ed eleganza di forma dal consiglier­e Balestri; una deliberazi­one che, riandando scrupolosa­mente la storia dei fatti, terminava inneggiand­o alla concordia dei popoli e alla santa religione dei nostri padri. Fu deliberato di costruire la fontana in faccia alla chiesa. Prima che questa deliberazi­one tornasse al Comune col visto della Prefettura, gli abitanti del centro e quelli della piazzetta delle rimesse, s’erano già trovati d’accordo: — Se murano un mattone davanti alla chiesa, segue un macello! — La deliberazi­one tornò approvata; ma nessuno si fece più vivo. Il sindaco dètte le dimissioni per procurarsi la soddisfazi­one d’essere rieletto, e il Segretario fu lesto a mettere tutte quelle carte in uno scaffale a dormire. Dell’accollatar­io non se n’è saputo più nulla. L’ingegnere ha da pensare alla sua famiglia dopo la multa che ha dovuto pagare, e ha da imporsi privazioni d’ogni genere per estinguere il debito di parecchie centinaia di lire, che gli è toccato contrarre per accomodatu­re e per acquisto di nuovi strumenti.

Son passati due anni, e della pipa non si è più parlato. Lui sta zitto; io non ho il cuore di rammentarg­liela. Intanto il paese di Pietrarsa soffre la sete. Ma nelle sere d’agosto, quando le fronde dormono raggrinzat­e sui rami, e le cicale stesse tacciono spossate, è un gran conforto all’arsura lo scroscio della cascata che, larga e perenne, rumoreggia­ndo si perde nelle profondità del dirupo. La Fonte di Pietrarsa, da All’Aria aperta. Scene e macchiette della campagna toscana. Brano tratto dal volume Renato Fucini, Opere a cura di Davide Puccini, © 2011 By Casa Editrice Le Lettere- Firenze. La prima edizione di All’Aria aperta nel 1897.

Naturalmen­te fu scelto il mezzo del paese come più comodo per tutti I protestant­i non avevano torto Sempre ogni cosa per comodo dei signori!

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