«Autonomia? Solo a metà Alla riforma serve tempo»
Il direttore di Perugia: lo staff? Molti custodi e pochi storici
«Per tirare le somme di questa riforma è troppo presto. Occorrerebbe otto anni per portarla a regime». All’indomani della notizia che Schmidt lascerà gli Uffizi a fine mandato parla Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria: «Occorrerebbero concorsi diversi per consentirci di scegliere i nostri collaboratori».
Non è stato facile — all’indomani della notizia della scelta di Eike Schmidt di ufficializzare il suo addio agli Uffizi a scadenza di mandato — trovare qualcuno che in tranquillità parlasse degli effetti della riforma Franceschini sulla gestione dei beni culturali. Argomento caldo, visto che in non pochi ravvisano un nesso tra gli esiti della rivoluzione dei musei e la scelta del numero uno delle Gallerie fiorentine di accogliere l’invito del Kunsthistorisches Museum di Vienna. Si parla di riforma a metà, di riforma di difficile applicazione, di riforma da riformare. Nel nostro ragionamento interviene, però, Marco Pierini attuale direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, uno dei 20 musei autonomi secondo il nuovo ordinamento.
Ce lo fa un bilancio di questa riforma direttore? «Mi pare troppo presto». Un’idea se la sarà fatta... «Sì certo e ora gliela illustro. È passato un anno e mezzo, forse un po’ di più, dal nostro insediamento. È nelle cose che sia troppo presto: questa riforma, che ha molti elementi positivi, ha bisogno di più tempo per mostrare i suoi frutti. Io personalmente farò in modo di attuare il mio programma entro i 4 anni del mio mandato. Ma credo che ci vorrebbe il doppio del tempo, almeno 8 anni per tirare le somme». Perché? «Ma perché è stata ed è una riforma che chiama in causa l’autonomia scientifica, finanziaria e gestionale. Tutte formule che implicano un cambiamento epocale nell’organizzazione del lavoro. Ci vuole tempo. Noi ci siamo inseriti in un contesto con le sue regole».
Quindi ha fatto male Schmidt a gettare la spugna così presto?
«Non ho detto questo. Dico che gli esiti della riforma si vedranno nel tempo».
Lei quando è arrivato a Perugia che tipo di progetto aveva in testa?
«Io mi sono prefisso di implementare il lavoro di ricerca e il legame col territorio. Volevo e vorrei che, innanzitutto chi vive in Umbria, si riappropriasse di quel patrimonio artistico».
Sembra di sentire parlare un direttore pre-riforma. Non fa accenno a grandi mostre, a ristoranti, a grandi numeri...
«Io non credo nella politica dei grandi eventi».
Nessuno le ha chiesto di indirizzare i suoi interessi verso interventi più spettacolari?
«No. Una volta presentato il progetto mi è stato detto: “Portalo avanti”. Stop». E lei lo ha portato avanti? «Ci sto provando. Ma devo fare una premessa. Per le conseguenze del terremoto dello scorso anno ho subito un abbattimento del 20 per cento delle presenze. Ma certo non è imputabile alla riforma».
Schmidt dice che questa riforma non prevede che un direttore possa scegliere i suoi collaboratori perché non può bandire concorsi e fare assunzioni. Un problema. Che ne pensa?
«Penso che abbia ragione. E probabilmente sarebbe auspicabile se si arrivasse a un sistema che preveda bandi non centralizzati. Credo che se ne stia anche parlando. Si potrebbe fare dei concorsi come quelli universitari. Bandi gestiti al livello centrale ma fatti su posizioni locali. Uno storico dell’arte a Firenze, per dire, un ricercatore a Perugia...».
Nel suo organico, per esempio, oggi cosa le manca?
«Ho molti custodi, ma mi mancano gli storici dell’arte. Ma adesso col concorso dei beni culturali spero che la situazione si risolva. Anche entro fine anno».
Le scelte Servirebbero bandi gestiti a livello centrale ma su posizioni locali: così ogni museo potrebbe cercare proprio la figura che gli manca