Corriere Fiorentino

E adesso l’accordo con Jindal o la rescission­e del contratto

C’è un’offerta indiana, ma il pallino resta in mano alla proprietà

- Al.Fae.

Ci sono due strade adesso per le acciaierie Aferpi: andare verso una rescission­e del contratto con Cevital dopo le inadempien­ze anche delle proroghe concesse, oppure far entrare Jindal in Aferpi, pronta a rilevare parte del pacchetto societario. Un bivio su cui dovrà decidere in parte anche lo stesso Issad Rebrab, nonostante sia il protagonis­ta in negativo di questa vicenda che ha paralizzat­o la ripresa piombinese per due anni.

L’imprendito­re algerino può decidere se trovare un accordo con gli indiani di Jindal, recuperand­o così parte dei soldi investiti nello stabilimen­to e ormai persi, oppure provare a resistere, andando così incontro alla rescission­e e di conseguenz­a ai ricorsi che ne seguiranno, ma vedendosi comunque sfilare di mano la fabbrica almeno in un primo momento.

La speranza dei più, anche all’interno dello stabilimen­to, è che possa prevalere la prima strada, in cui Cevital e Jindal seguiranno un percorso comune che punti sul ritorno del ciclo integrale di produzione dell’acciaio: prerogativ­a questa per gli indiani che appunto cercano una sponda europea per poter pagare i futuri dazi.

Già, ma come far ripartire il ciclo integrale? Cevital due anni fa aveva paventato l’idea dell’acquisto di un nuovo e tecnologic­o forno elettrico, ma ormai il progetto sembra tramontato come il resto del piano industrial­e, anche se molte parti, compreso il Comune di Piombino, spingono ancora sulla diversific­azione. Jindal invece ha le idee chiare: far ripartire il vecchio altoforno, spento tre anni fa. Un’impresa che lascia perplessi in molti: sia i tecnici esperti del settore, che parlano dell’Afo (l’altoforno) come di un «pezzo da museo», sia chi teme per l’ambiente, perché farlo ripartire significa dover smaltire la ghisa residua e ormai fossilizza­ta nell’impianto. Per alimentare l’Afo, inoltre, l’idea è di ricorrere al pre-ridotto, ovvero al ferro trattato con idrogeno in grado di sostituire il carbon fossile. Ma questo vale solo se ci sarà un accordo tre le due parti, con Cevital che chiede almeno 100 milioni di euro per la quota societaria, anche se indiscrezi­oni dicono che già a 50 si potrebbe chiudere l’affare. Se le acciaierie dovessero tornare sul mercato, invece, Jindal ha già presentato la sua offerta: 400 milioni pronti da investire, riaccensio­ne dell’altoforno spento nella primavera 2014, alimentazi­one continua dei tre laminatoi già presenti — vergella, barre e rotaie — con l’aggiunta di un quarto per gli acciai piani, lavoro per circa 1.800 persone e una produzione di acciaio pari a tre milioni annui, per raggiunger­e la quota complessiv­a di 40 milioni entro il 2030. In ogni caso, ben più degli 8 milioni di euro presentati nel 2014, quando gli indiani videro sorpassare la propria offerta proprio da Cevital.

Ma la partita è tutt’altro che scontata, perché se il contratto verrà rescisso potrebbero esserci acquirenti da tutto il mondo pronti a farsi avanti: su tutti l’inglese British Steel, gli italiani del Gruppo Danieli e l’austriaca Voestalpin­e. Una nuova partita in poche parole, che partirà là dove ha mosso i primi passi Cevital: al ministero dello Sviluppo.

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