Corriere Fiorentino

Manzione: senza lingua non c’è integrazio­ne Un premio a chi impara

L’INTERVISTA Il sottosegre­tario: espellere chi non studia? Difficile

- Simone Innocenti simone.innocenti@rcs.it

«Le Regioni posso giocare un ruolo fondamenta­le nel processo di integrazio­ne e non è un caso che il ministro Marco Minniti abbia esposto il progetto complessiv­o alla Conferenza delle Regioni», spiega il sottosegre­tario all’Interno Domenico Manzione. Progetto, allo studio del Viminale, che dovrebbe essere approvato entro la metà di settembre.

Manzione, ex capo della Procura di Alba, non è un politico, bensì un tecnico e in questo momento ha tra le mani la delega più difficile da gestire, quella dell’immigrazio­ne. «C’è un Fondo speciale europeo — spiega —e i soldi sono già destinati al Viminale, andranno a coprire il capitolo relativo all’integrazio­ne, le Regioni hanno le loro formazioni: sono già protagonis­te per l’assistenza sociale, l’assistenza sanitaria e l’avviamento al lavoro. Mettendo insieme i due fattori si può ipotizzare di raggiunger­e un risultato positivo».

Sottosegre­tario, cosa aspetta l’Italia a rendere obbligator­ie per i migranti le lezioni di italiano?

«Al momento ci sono delle lezioni, alcune ore alla settimana che però nessuno controlla. L’obiettivo è quello di mettere a regime tutto questo. Imparare la lingua italiana deve certamente diventare obbligator­io: il nostro piano di integrazio­ne va in questa direzione. A mio avviso si tratta di un passaggio ineluttabi­le, assolutame­nte necessario. A questo punto dovremo impostare dei meccanismi di controllo».

Si potrebbero introdurre test per la conoscenza della lingua al termine dei corsi, pena l’espulsione del profugo, come già succede in altri Paesi europei?

«Far incidere un test direttamen­te sul diritto di asilo politico risultereb­be problemati­co da un punto di vista della Costituzio­ne, questo non va mai scordato».

Quindi cosa pensate di fare?

«Si potrebbe lasciar perdere un meccanismo che colpisca il migrante e invece ipotizzare un meccanismo di natura opposta, cioè premiante: vale a dire che — una volta dimostrato di aver appreso la lingua italiana e aver fatto determinat­e tappe nel percorso di integrazio­ne — il migrante potrebbe, sto assolutame­nte ipotizzand­o, avere delle facilitazi­oni in fatto di eventuali permessi di soggiorno».

Nei bandi di molte prefetture, come quella di Firenze, sono previste sei ore settimanal­i di italiano. Non le pare poco per apprendere la lingua?

«Non c’è dubbio che queste ore siano poche. Ed è chiaro che il piano di integrazio­ne debba andare a coprire un tassello fondamenta­le, che è appunto quello della lingua italiana. Ciò va fatto da un punto di vista qualitativ­o e quantitati­vo. E lo sa soprattutt­o per quale motivo?».

Non è difficile da ipotizzare...

«Forse sì, ma va ripetuto con chiarezza e con forza. Noi non vogliamo fare l’assistenza a chi ha il diritto di asilo: questo deve essere un passaggio nel tempo, dato che loro dovranno camminare sulle loro gambe nel prossimo futuro».

Quale dovrebbe essere nello specifico il ruolo delle Regioni nel piano annunciato dal ministero?

«Hanno un ruolo fondamenta­le. Le Regioni possono diventare a pieno titolo le regine di questo progetto di integrazio­ne dato che già, con le loro strutture, inseriscon­o persone nel mondo di tutti i giorni».

Sembra una cosa abbastanza semplice e forse non lo è.

«C’è bisogno di una presa di coscienza di carattere internazio­nale. Non può essere solo l’Italia a tenere aperti i suoi porti. L’integrazio­ne è la naturale prosecuzio­ne dell’attività di salvataggi­o in mare. Spero venga approvato il prima possibile il Piano nazionale integrazio­ne».

Sul campo Le Regioni, con le loro strutture, possono giocare un ruolo fondamenta­le nell’applicazio­ne del piano del Viminale Responsabi­lità Noi non vogliamo fare assistenza a chi ha il diritto di asilo: questo deve essere un passaggio, per farli camminare sulle loro gambe

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Tecnico Domenico Manzione, sottosegre­tario all’Interno ha la delega all’immigrazio­ne

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