Manzione: senza lingua non c’è integrazione Un premio a chi impara
L’INTERVISTA Il sottosegretario: espellere chi non studia? Difficile
«Le Regioni posso giocare un ruolo fondamentale nel processo di integrazione e non è un caso che il ministro Marco Minniti abbia esposto il progetto complessivo alla Conferenza delle Regioni», spiega il sottosegretario all’Interno Domenico Manzione. Progetto, allo studio del Viminale, che dovrebbe essere approvato entro la metà di settembre.
Manzione, ex capo della Procura di Alba, non è un politico, bensì un tecnico e in questo momento ha tra le mani la delega più difficile da gestire, quella dell’immigrazione. «C’è un Fondo speciale europeo — spiega —e i soldi sono già destinati al Viminale, andranno a coprire il capitolo relativo all’integrazione, le Regioni hanno le loro formazioni: sono già protagoniste per l’assistenza sociale, l’assistenza sanitaria e l’avviamento al lavoro. Mettendo insieme i due fattori si può ipotizzare di raggiungere un risultato positivo».
Sottosegretario, cosa aspetta l’Italia a rendere obbligatorie per i migranti le lezioni di italiano?
«Al momento ci sono delle lezioni, alcune ore alla settimana che però nessuno controlla. L’obiettivo è quello di mettere a regime tutto questo. Imparare la lingua italiana deve certamente diventare obbligatorio: il nostro piano di integrazione va in questa direzione. A mio avviso si tratta di un passaggio ineluttabile, assolutamente necessario. A questo punto dovremo impostare dei meccanismi di controllo».
Si potrebbero introdurre test per la conoscenza della lingua al termine dei corsi, pena l’espulsione del profugo, come già succede in altri Paesi europei?
«Far incidere un test direttamente sul diritto di asilo politico risulterebbe problematico da un punto di vista della Costituzione, questo non va mai scordato».
Quindi cosa pensate di fare?
«Si potrebbe lasciar perdere un meccanismo che colpisca il migrante e invece ipotizzare un meccanismo di natura opposta, cioè premiante: vale a dire che — una volta dimostrato di aver appreso la lingua italiana e aver fatto determinate tappe nel percorso di integrazione — il migrante potrebbe, sto assolutamente ipotizzando, avere delle facilitazioni in fatto di eventuali permessi di soggiorno».
Nei bandi di molte prefetture, come quella di Firenze, sono previste sei ore settimanali di italiano. Non le pare poco per apprendere la lingua?
«Non c’è dubbio che queste ore siano poche. Ed è chiaro che il piano di integrazione debba andare a coprire un tassello fondamentale, che è appunto quello della lingua italiana. Ciò va fatto da un punto di vista qualitativo e quantitativo. E lo sa soprattutto per quale motivo?».
Non è difficile da ipotizzare...
«Forse sì, ma va ripetuto con chiarezza e con forza. Noi non vogliamo fare l’assistenza a chi ha il diritto di asilo: questo deve essere un passaggio nel tempo, dato che loro dovranno camminare sulle loro gambe nel prossimo futuro».
Quale dovrebbe essere nello specifico il ruolo delle Regioni nel piano annunciato dal ministero?
«Hanno un ruolo fondamentale. Le Regioni possono diventare a pieno titolo le regine di questo progetto di integrazione dato che già, con le loro strutture, inseriscono persone nel mondo di tutti i giorni».
Sembra una cosa abbastanza semplice e forse non lo è.
«C’è bisogno di una presa di coscienza di carattere internazionale. Non può essere solo l’Italia a tenere aperti i suoi porti. L’integrazione è la naturale prosecuzione dell’attività di salvataggio in mare. Spero venga approvato il prima possibile il Piano nazionale integrazione».
Sul campo Le Regioni, con le loro strutture, possono giocare un ruolo fondamentale nell’applicazione del piano del Viminale Responsabilità Noi non vogliamo fare assistenza a chi ha il diritto di asilo: questo deve essere un passaggio, per farli camminare sulle loro gambe