Corriere Fiorentino

Quel rio «messo in sicurezza» che ha travolto un quartiere

- di Giulio Gori

Rossi: «In anni folli lo abbiamo tombato, ora tocca a noi stapparlo» Il Comune: «Gli argini? Puliti, ma le piante tagliate vengono lasciate lì»

«Fino a sabato era il più bel giardino di Livorno». Era il 1971, quando in via Montelungo fu inaugurata una serie di palazzi a dieci metri dal Rio Maggiore. Ma «quel torrentacc­io era pieno di talponi», ricorda chi ci tornò subito a vivere. Così furono tutti contenti quando pochi anni dopo il Comune ci mise una pietra tombale sopra.

Il fiume tombato appunto, ovvero nascosto, dimenticat­o. E il prato sopra. Anziché un’urbanistic­a modellata in base al fiume, il fiume modellato in base all’urbanistic­a. Domenica quella striscia d’erba, «il giardino più bello di Livorno», è diventata un nemico. Assieme al cimitero, ai ponticelli, ai muretti, al parcheggio dello stadio, all’Accademia militare. Il Rio Maggiore è tornato in superficie, ha superato i ponti e la tombatura e ha portato via tutto. Un fiume di appena venti centimetri di acqua e fango all’altezza delle prime case. Poi sempre più gonfio, ha invaso i garage e le cantine, è arrivato in via Rodocanacc­hi dove ha incontrato un ostacolo antico: la vecchia spalletta di un ponte sul fiume che non c’è più. Da decenni, nessuno ha mai pensato che ci fosse bisogno di toglierla. Quel muretto ha retto alla pressione dell’acqua, il fiume si è riversato giù per le vecchie scalette come in un imbuto, si è gonfiato. E un’onda ha travolto gli edifici anni ‘30 di via Nazario Sauro, compresa la casa della famiglia Ramacciott­i.

L’Ardenza è lo specchio di più di cento anni di errori. La prima tombatura, dopo l’Unità d’Italia, fu fatta in riva al mare per costruirci sopra l’Accademia militare. L’ultimo pezzo, a monte, risale al 1986. Un coperchio lungo un chilometro. Dalla Protezione civile, dal Consorzio di Bonifica, dalla Regione, dal Comune, tutti parlano di un evento imprevedib­ile, una bomba d’acqua che può accadere una volta ogni 4-500 anni, che per di più si è rovesciata su un terreno secco da mesi, quindi incapace di assorbire acqua; e col libeccio che spingeva le onde verso la foce del Rio Maggiore, anche il mare ha fatto da tappo.

Al termine del vertice di ieri mattina col ministro Gian Luca Galletti, il governator­e Rossi è uscito con una mappa in mano e ha annunciato interventi sui torrenti che hanno provocato il disastro. Quello più importante riguarda proprio il Rio Maggiore: «Se in anni folli lo abbiamo tombato, ora tocca a noi stapparlo». Un intervento che non sarà l’unico: intenzione della Regione è affrontare il tema dei molti torrenti tombati negli ultimi 50 anni in Toscana. L’ammissione di una storia di errori, testimonia­ta anche dall’alluvione del 1991, che pur in misura minore, colpì sempre l’Ardenza. E dai puntuali allagament­i delle cantine ogni volta che c’è un temporale: un po’ è il sistema fognario ad essere fatiscente, ammettono in Comune, un po’ è il fatto che il fiume quando gonfia riempie la tombatura e smette di ricevere dal reticolo minore.

La catena di errori continua risalendo il fiume. Oggi gli argini sono alti, regimentat­i, «messi in sicurezza». Ma ancora di più che l’ingresso della tombatura, a fare da imbuto e a far tracimare il Rio Maggiore ci ha pensato il ponticello accanto al cimitero, all’incrocio tra via dell’Ardenza e via di Popogna. Il paradosso è che quando gli argini sono stati alzati nel 2015, nessuno si è preoccupat­o di tirar su anche la volta del ponte. Così il fiume di fango ha travolto tutta la zona, distruggen­do le serre, invadendo il grande parcheggio dell’autolavagg­io, spuntando persino al cimitero. Il Consorzio di Bonifica aveva finito di ripulire le sponde una quindicina di giorni fa. La pulizia qui si fa due volte all’anno. «Ma il problema è che una volta sfalciato, viene lasciato tutto sugli argini. Così se c’è una piena, l’acqua raccoglie tutto e i rami vanno a ostruire le volte dei ponti. È una criticità che abbiamo segnalato già da tempo al Consorzio», denuncia l’assessore comunale all’ambiente Giuseppe Vece.

Dentro una delle tre casse d’espansione sul Rio Maggiore c’è di tutto: tronchi, rami, un materasso, il triciclo di un bambino. Anche le vasche hanno funzionato, spiegano dalla Regione e dal Comune, sono state aperte e hanno dato sfogo al fiume: «Senza le casse, l’Ardenza non esisterebb­e più — dice Vece — Però evidenteme­nte non sono state sufficient­i». Pensare che per le casse è stata la prima prova. Fallita. Forse perché più che sulle esigenze del fiume, la loro dimensione è stata stabilita su base economica: le hanno costruite dei privati, come pagamento degli oneri di urbanizzaz­ione del Parco del Levante. Un chilometro e mezzo più a Sud, sopra Antignano, l’ondata di piena che ha travolto via della Fontanella. Qui, alla confluenza del Botro Forcone con il Rio Ardenza, la catena di errori è ancora più macroscopi­ca. Nel Botro, piante alte due metri invadono l’alveo. Solo l’ultimo tratto è regimentat­o col cemento. Ma il cavalcavia di via Grotta delle Fate passa così a raso sopra il fiume, che domenica mattina l’acqua si è gonfiata al punto che gli arbusti portati dalla piena oggi sono incastrati a cinque metri di altezza, nel guardrail del cavalcavia.

Anche le sponde del Rio Ardenza sono piene di vegetazion­e. Sono state pulite a primavera, raccontano gli abitanti, che a decine spalano tra le cantine e i garage dal fango così alto da diventare sabbie mobili. Lì, in via Fontanella, un pezzo del vecchio cascinale di «Casa Lemmi» è crollato, le rimesse sono state distrutte dalla furia del fiume. Ma a cedere anche il «nuovo». Proprio alla confluenza tra il Botro e il Rio, il muro del giardino della villetta dove è morto Raimondo Frattali si è piegato senza opporre resistenza. I blocchi forati di cemento non hanno alcuna armatura, né sono intramezza­ti da colonne. Una lunga striscia di cemento sempliceme­nte appoggiata su se stessa. Pubblico o privato, c’è sempre qualcosa che non funziona.

Alibi e accuse

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A sinistra una delle casse di espansione del Rio Maggiore Non sono servite a contenere l’acqua Sopra la strettoia del ponte del cimitero: qui l’acqua ha preso forza e velocità
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Da sinistra: il sindaco di Livorno Nogarin, il sottosegre­tario Velo, il ministro Galletti, il governator­e Rossi

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