Carriole, vanghe, stivali e sudore Livorno si scrolla l’acqua di dosso
Tutti in strada a spalare insieme: «È come andare allo stadio, ma con i secchi invece delle sciarpe»
Stringe tra le mani una bottiglia di vino rosso, come fosse un’antica reliquia da conservare. «Almeno questo siamo riusciti a salvarlo». Poi cerca un cavatappi, apre uno dei cassetti stracolmi di fango. Mancano però i bicchieri, galleggiano nella melma insieme al resto della cucina. Roberto non demorde: «Vorrà dire si berrà a boccia».
Il disastro di Livorno è anche questo. È una città che cerca di reagire, anche con l’ironia e l’arte di arrangiarsi. Pale, guanti, spazzoloni, picconi, rastrelli. Roberto esorcizza la paura col sorriso. Ma non è l’unico. Succede dappertutto, lungo queste strade di fango e devastazione. Succede a Montenero, una delle frazioni più sfigurate. Flavio guarda attonito il suo ristorante, pizzeria «La Terrazza». L’arredamento interno è diventato immondizia. Arpiona sedie e tavoli e li butta in mezzo a piazza delle Carrozze. Si asciuga il sudore con il polso. Si ferma un istante, si guarda attorno. Poi ride, quel sorriso sotto i baffi tipicamente livornese. Acciglia lo sguardo: «Boia deh, guarda che casino». E giù un’altra risata. «Se non rido, mi ammazzo. Te cosa sceglieresti?».
Stessa catastrofe — e stessa atmosfera — all’Ardenza. Il torrente ha spazzato via tutto. Nessuno piange, nessuno urla. C’è dignità, compostezza. Qualcuno se la prende con i torrenti tombati, puliti male. Ma la rabbia è marginale. C’è una montagna di quattro automobili accatastate: «Boia, sembra “Shanghai”, ti ricordi quel giochino coi bastoncini?». Viene da chiedersi come sia possibile, in momenti come questi, trovare la forza del sarcasmo. Eppure è così. Il bulldozer trascina una macchina fuori dal fango. Arriva il proprietario e dice: «Oh ragazzi, giù le mani dalla mia auto». È uno scherzo, e tutti ridono. Poi però si torna seri, instancabili, tenaci. Increduli. C’è un esercito di spalatori lungo le strade. Oltre 400 volontari. Arrivano da tutta la regione. Protezione Civile, Misericordie, Anpas, Caritas, Croce Rossa. Sette squadre da Parma e Reggio Emilia. Pronti a partire dalla Protezione civile del Veneto. E poi studentesse universitarie, come Chiara, Margherita, Sara. Si sporcano le mani. Al ferramenta Ardenza c’è la coda. «Oggi prezzi speciali, un nostro dipendente è andato a Firenze a fare rifornimento di guanti e spazzoloni».
Lungo le strade, è un andirivieni di persone con i secchi. A piedi, sopra le auto, in motorino. «È come andare allo stadio, al posto delle sciarpe portiamo i secchi». Livorno è un’altra città. Cento paracadutisti della Folgore sono diventati spalatori. Gli anfibi immersi nella melma. «Ardenza è casa nostra» Hanno la caserma a pochi passi da qui. E poi ci sono i profughi, cinquanta richiedenti asilo che rimuovono macerie dai garage di via San Martino. Sono ospiti all’ex hotel Atleti, sono nigeriani e senegalesi: «Siamo stati colpiti da questa tragedia, vogliamo essere utili anche noi». I livornesi ringraziano. Chiusi molti negozi. Serrati ristoranti, macellerie, edicole, fabbriche. Come quella di Kevin, poco più che ventenne. «Faccio l’operaio ma la mia fabbrica è allagata. Quindi sono venuto a Montenero per spalare il fango». Anche grazie a lui, la posta del paese ha riaperto in tempi record. Uomini e donne, giovani e anziani che diventano angeli del fango. Tutti in soccorso di tutti. «Livorno ha un cuore grande così» dice Claudia al circolo Arci di Salviano, mentre continua a sfornare penne al pomodoro da servire ai tavoli della casa del popolo, diventata mensa per i volontari, mentre «Johnny Paranza» serve fritti gratis. «Oggi ho preso libero dal lavoro» dice un ragazzo di 30 anni.
Simona intanto ha perso tutto. La sua casa, nelle colline a sud della città, è un ammasso di macerie. Ci sono le fotografie del matrimonio, quelle del battesimo del figlio, quelle dell’albero di Natale. E montagne di libri, fumetti, quaderni. Tutto da buttare, ammassato sull’uscio di casa, in attesa della discarica.