Il mare è marrone Ma i ricercatori sono tutti a spalare
A partire dal Sassoscritto, il mare si presenta con una linea di demarcazione cromatica. Al largo è del solito blu intenso, verso la costa è dello stesso colore di tante strade livornesi invase dal fango. Più che mai servirebbe che il Centro di biologia marina, da 17 anni insediato nell’ex stazione del «Trammino» a Barriera Margherita vicino all’Accademia Navale, fosse in piena efficienza. Invece no. I dipendenti sono tutti al lavoro per spalare la melma arrivata con la piena del Rio Maggiore, duecento metri più avanti responsabile della morte di quattro persone: un bambino di appena quattro anni, il papà e la mamma, il nonno che tentava di salvarli. Sarebbe stato utile in piena efficienza, benché le analisi sulla qualità delle acque marine siano competenza dell’Arpat, ma chissà per quanto resterà fuori uso: la marea di fanghiglia ha danneggiato gli spettrofotometri nuovi di zecca, le pompe per le apparecchiature, le stanze fredde a4 e a 16 gradi per la conservazione dei campioni in attesa delle analisi.
Stefano De Ranieri, direttore fino al 2014 e ora membro del comitato scientifico, racconta che «l’acqua, al piano terra, ha raggiunto l’altezza di 20-25 centimetri. In più ci sono state infiltrazioni dal tetto e alcuni macchinari del primo piano risultano danneggiati. Abbiamo provato a sondare qualche ditta, ma con questo disastro nessuna è stata disponibile a intervenire». Così i dipendenti hanno calzato gli stivali e si sono messi a pulire. All’esterno hanno accatastato sedie, faldoni con i documenti, camici. Dentro restano i macchinari, molti dei quali ormai inservibili. «Fino a quando non sarà possibile ridare elettricità in sicurezza e testare la strumentazione — aggiunge De Ranieri —, non possiamo fare il computo preciso dei danni».
L’attività di raccolta sui dati del pesce e sulla qualità dei sedimenti marini è ferma a tempo indeterminato. Un vero problema, poiché sulla scorta di un contratto pluriennale con il ministero dell’ambiente, il Centro esegue test attorno all’Olt, il terminal galleggiante per la rigassificazione del metano, fissato al fondale a 22 chilometri di distanza dalla costa. «Nonostante la partecipazione del Comune di Livorno e di sette università, la nostra è un’associazione di diritto privato», conclude De Ranieri. Vale a dire che le commesse arrivano in base alle offerte del mercato. Nel caso in cui la fermata dei laboratori di chimica e di ecotossicologia si protragga a lungo, per i 25 dipendenti si prospetta un futuro denso d’incognite.