Solvay: i pesci morti? Nessun collegamento con il nostro guasto
David Papavero, il direttore dello stabilimento Solvay, non si spiega come sia possibile correlare i pesci morti davanti al Fosso bianco il 29 agosto con il blocco della sodiera del giorno precedente. E neppure con le fasi di riavvio. Il disservizio fu dovuto al corto circuito di un dispositivo elettronico collegato al sistema informatico: gli addetti alla sala di controllo se ne resero conto e, come da protocollo, lo fermarono. Durante il riavvio, iniziato alle 19 del 28 agosto, l’ammoniaca dispersa nell’acqua finì nelle vasche di contenimento. «Niente è tracimato nel Fosso bianco», sottolinea Papavero. Sta il fatto che alle 18 del 29 agosto, Arpat e Capitaneria di porto segnalano la presenza di pesci morti. Quanti? Nessuno sa dirlo, forse alcune decine. Alcune carcasse vengono prelevate dai tecnici del Comune, consegnate ai veterinari dell’Asl e da qui portate al laboratorio zooprofilattico di Pisa per l’esame autoptico. Mentre la Procura annuncia l’apertura di un fascicolo, ecco gli esiti analitici: non si può risalire alle cause di morte perché le carcasse sono deteriorate. «Come è possibile che i pesci si siano deteriorati in poche ore tanto da non poter essere accertata la causa della morte?» chiede, dubbioso, Papavero. Insomma, Solvay rifiuta qualsiasi correlazione tra il disservizio e la moria. È comunque vero che i campionatori alla foce del Fosso Bianco hanno rilevato, nelle misurazioni eseguite per 24 ore, una presenza media di azoto ammoniacale superiore ai limiti di legge (15 mg/litro): «Scostamenti minimi che non possono avere effetti sulla fauna ittica. E si tratta di azoto ammoniacale, non di ammoniaca allo stato puro». Troppe cose non tornano ai dirigenti della multinazionale che a Rosignano ha l’insediamento più grande d’Italia. La soluzione del caso resta appesa all’inchiesta annunciata dalla magistratura.