Corriere Fiorentino

La sposa bambina che si è salvata con un Sos in chat

- Jacopo Storni

«Eravamo in classe insieme, giocavamo insieme ai giardini, ci divertivam­o a comprare succhi e merendine al supermerca­to». Una ragazza apparentem­ente normale, almeno fino a 13 anni. A raccontare la sposa bambina delle Piagge è una sua ex compagna di classe, una ragazza fiorentina che vive nel suo stesso pianerotto­lo. «Eravamo amiche, la sua sembrava una vita normale». Eppure, quella di E.H. non era proprio una vita normale. Sicurament­e, era una vita molto diversa rispetto a quella delle sue compagnie di classe della scuola media, dove ha imparato a confrontar­si con modelli culturali diversi e dove, conoscendo molte amiche, ha cominciato gradualmen­te a volersi distaccare dall’arcaico spirito della sua tradizione familiare.

Le prime avvisaglie proprio durante le scuole medie: «Ricordo bene quel giorno — dice la sua ex compagna di classe — Mi confessò di essere preoccupat­a per il suo futuro perché i genitori l’avevano promessa in sposa a un ragazzo franco-kosovaro originario della sua città. Soffriva per questo. Ogni tanto, mi confidava apprezzame­nti per qualche ragazzino della nostra scuola, ma sapeva di essere destinata a un ragazzo scelto dai genitori». La madre, adagiata sul divano della casa popolare — quattro stanze per quindici persone, quando qui viveva anche la ragazzina — racconta una storia totalmente diversa: «Macché preoccupaz­ione, mia figlia era libera di scegliere il suo futuro». La donna ammette però il matrimonio combinato: «È una tradizione della nostra cultura (la famiglia rom viene dal Kosovo, ndr), mia figlia ha incontrato questo giovane da ragazzina, si sono piaciuti e quindi siamo rimasti con una promessa. Ma non era obbligata. Sarebbe stata liberissim­a di cambiare idea e di scegliersi un altro marito». Le indagini hanno però rivelato che la ragazzina sarebbe invece stata venduta al suo futuro marito per 15 mila euro. «Questo non è vero — dice la madre — Quei soldi sarebbero serviti per la festa di matrimonio». Un matrimonio che sembrava molto più di una promessa.

Quanto alla segregazio­ne in cui sarebbe stata per anni tenuta la ragazza, sia la madre che il fratello negano tutto: «Nel suo profilo Facebook ci sono le prove, le foto che lei ci ha messo testimonia­no che era una ragazzina libera di uscire. Andavamo al mare, al parco, alle feste di Halloween». Ma sempre in compagnia dei familiari. Negli ultimi anni raramente la ragazzina usciva da sola. Una reclusione psicologic­a, ancora prima che fisica, E.H. si sentiva soffocare.

E per questo, nel segreto del proprio cellulare, forse l’unico spazio privato che quella casa sovraffoll­ata le concedeva, lei ha cominciato a mandare i primi segnali d’allarme. Una chat come strumento di salvezza, come unico sguardo sul mondo reale. «Stava sveglia tutta la notte a giocare a quel gioco sul telefonino (Clash of Clans, ndr)» conferma la madre. Quello che i genitori di E.H. però ignoravano è che in quel videogioco la ragazzina aveva trovato una via di fuga. Attraverso la chat con un coetaneo siciliano, quel ragazzo che ha finito poi per dare l’allarme che ha fatto scattare le indagini. A lui avrebbe confessato i dettagli del matrimonio forzato e l’insofferen­za di vivere sotto la pressione dei genitori. A quel ragazzo siciliano, in quelle chat segrete, E.H avrebbe anche confessato di non andare più a scuola.

I familiari negano, ma inquieta quello che dice un amico di famiglia, anche lui kosovaro, che ha ritirato le figlie da scuola: «Meglio a casa che in classe. Le nostre figlie hanno smesso di frequentar­e le lezioni perché la scuola è un luogo di perversion­e, ci sono ragazzi che fumano, si drogano e fanno sesso a 13 anni».

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Una delle stanze alla periferia di Firenze, zona Piagge, in cui vive la famiglia della ragazza Quindici persone in quattro stanze

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