Al Casato prime donne c’è il bruco mangia plastica
Il premio di Montalcino alla ricercatrice Federica Bertocchini per la sua scoperta anti inquinamento
Di lei ha parlato mezzo mondo in primavera scorsa, per via di quel piccolo bruco potenzialmente capace di cambiare il destino della terra. Federica Bertocchini, classe 1968, è la biologa italiana, anzi toscana — è nata a Piombino — che, da ricercatrice a contratto a Santander, in Spagna, ha scoperto quell’animaletto, il bruco della cera appunto, capace di mangiare la plastica. «Un esserino minuscolo che distrugge il polietilene — spiega lei — e che, se studiato a fondo, potrebbe essere uno strumento importantissimo per combattere l’alto tasso di inquinamento dei nostri mari e fiumi». Stamani, alle 10,30 al teatro degli Astrusi di Montalcino, Federica riceverà il Premio casato Prime donne (sostenuto dal 1999 dalle cantine del Casato Prime Donne a Montalcino e dalla Fattoria del Colle di Trequanda per valorizzare figure femminili di rilievo nazionale e internazionale). Un riconoscimento importante anche perché di questo premio oggi Federica ha bisogno più che mai, visto che in questo momento è disoccupata. «
Dopo aver vinto un concorso al Cnr spagnolo per un contratto che prevedeva un impegno di 5 anni più due — ci spiega — oggi sono senza lavoro». Il che è un paradosso bello e buono, visti anche gli ultimi dati sull’inquinamento del pianeta a causa della plastica: qualche giorno fa è stata resa pubblica dal Guardian una ricerca-studio condotta da Orb Media, un’organizzazione non profit di Washington, secondo cui l’83 per cento dei campioni di acqua corrente da loro analizzati sono risultati contaminati proprio dalla plastica.
Un dato spaventoso rispetto al quale Federica spiega: «Per mettere in produzione la molecola contenuta nel bruco e usarla per distruggere la plastica occorrerebbe ancora qualche anno di ricerca. Io, insieme con Paolo Bombelli e Chris Howe dell’Università di Cambridge, i colleghi con cui ho condiviso la scoperta e con cui sto cercando di portare avanti un progetto, stiamo cercando degli sponsor. Siamo stati contattati da varie aziende ma fino a ora non si è concretizzato nulla. Occorre qualcuno che affronti il rischio d’impresa e occorrerebbe anche eliminare gli ostacoli che arrivano da chi ha grandi interessi nella gestione dei rifiuti». Un percorso a ostacoli ma su cui lei si sta spendendo senza risparmiarsi. «La scoperta — spiega — è stata causale. Io sono sempre stata interessata ai problemi ambientali e nel tempo libero, vicino Santander, mi occupo di apicoltura. Un giorno mi sono accorta che i miei alveari erano infestati da questi bruchi e così li ho chiusi in un sacchetto di plastica. Quando sono tornata a casa quei bruchi non c’erano più e il sacchetto era bucato. Avevano letteralmente mangiato la plastica». Il resto è una storia di cervelli in fuga e di veti per il progredire della ricerca.