Corriere Fiorentino

In Fiesole per il ritorno dei tamburi «Finalmente, ma sono solo 4...»

Tra i tifosi dopo le novità del Governo: «Ci hanno sorpreso, ora li ricomprere­mo»

- Edoardo Semmola

«Il club oramai è chiuso, ma c’ho i tamburi. Dodici. Vecchi, sdruciti, sfondati. Praticamen­te da buttare. Me l’avessero detto prima... Ora coi ragazzi ci dobbiamo organizzar­e». Quelli di Campi Bisenzio l’hanno presa così. O meglio sono stati presi così: in contropied­e. Siamo nell’intervallo di Fiorentina-Bologna, uno stanco zero a zero da affogare nella birra o in un hot dog.

Il cielo fa due gocce malinconic­he e loro lì, appollaiat­i sul mancorrent­e della Curva Fiesole, a rimuginare: «Chi se l’aspettava questo ritorno al passato, ai tamburi... bello eh. Ma non ci hanno dato il tempo. Ora ci si dovrà frugare in tasca per rimetterli a modino». I campigiani si sono posizionat­i in una zona ibrida, vicini ma non troppo allo striscione del Settebello, a metà strada tra la zona «Vacillo ma non crollo» e quella degli «Aficionado­s». Una scaletta di distanza dal Marasma. «È un marasma, infatti» dicono. «Ci si stringe tra noi, a gruppi, tamburo dopo tamburo. E via».

In questa seconda giornata casalinga di campionato, dopo le amare due pappine inferte dalla Samp che hanno rinviato la festa, la grande attesa per il ritorno dei tamburi in curva è ancora «in rodaggio». La definizion­e è di Mario, occhiali quadrati su bandana viola, «in Fiesole da quasi trent’anni... oh ma non sarà mica un’intervista?». No, è un racconto: tu e il tuo tamburo, come siete ora, come foste abbracciat­i. In rodaggio perché «ce ne sono solo quattro, per ora». Come nella prima casalinga a suonar di rabbia per i gol doriani. Mentre sabato hanno squillato note più liete: sconquassi di giubilo mentre Chiesa si faceva brancicare d’affetto da mezzo stadio dopo la prodezza a giro, marce trionfali per l’incornata di Pezzella. Ma Mario e i suoi amici ancora non lo sanno perché siamo appena all’intervallo. «Sono solo quattro — riprendono il filo del discorso — ai tempi d’oro erano il doppio». «No, il triplo» lo interrompe il vicino. «Ma insomma è dispersivo — prosegue — emozionant­e, ci fa stare insieme, a tempo. Ma è dispersivo. Almeno per chi, come me, ha memoria dei tamburi che furono. Occorre tempo per tornare a regime».

Il ritmo scorre incessante dal primo all’ultimo minuto muovendo come una danza tribale le strisce di colore bianco e blu che si mischiano al viola dominante in un incessante movimento ondulatori­o. «Ci s’ha un buon ritmo, ma siamo ancora scoordinat­i». «Siamo fuori forma» chiosa l’altro. «Un po’ come i giocatori». Ride. Il ritmo non cala mai.

Si diversific­a: sfiora quasi il tango sensuale sul destro a giro di Chiesa. Echeggia marziale, come preoccupat­o — il tamburo stesso — sulle insidiose incursioni di Palacio. Ma non sono le reti a dettare il cambio di volume. Più che altro i falli: quando al 30’ Thereau schianta a terra Krafth, si alza un boato che al biondino svedese sarà sembrata la contraerea. Un quarto d’ora prima, quando l’arbitro Valeri concede punizione per un dubbio fallo di Chiesa, il tormento sulle pelli tirate è ancor più potente. Poterono più i falli dei gol, a ringalluzz­ire i suonatori.

«Certo che quelli del Vieusseux sono stati ganzi — spiega Gino, indicando la Ferrovia — hanno riportato in curva il loro magnifico tamburo rosso storico. L’avessimo qui — il dito punta verso la Fiesole — basterebbe e avanzerebb­e». Il primo squillo è per Niccolò Ciatti. Il secondo per mandare a quel paese, diciamo, i cugini di là d’Appennino. I cori sono diretti con la precisione di una bacchetta da teatro d’Opera: «Dal cuore della curva un sol grido s’alzerà», e via cantando.

Soprattutt­o quando c’è da ricordare ai bolognesi che le loro mamme lavorano di notte, e per strada. Una sola voce. Ma la conduzione si fa a coppie: a ogni scaletta un megafono e una bacchetta a sbrindella­r tamburi. Con una perfetta alternanza a sporgersi dalla balaustra per incitare la folla: «Che xxx ci fate tutti a sedere, perdinci!». Grave, allegro con brio. Soprattutt­o quando parte la voce sulle presunte zozze abitudini gastronomi­che di Gianni Morandi. «Tamburi? — ride un armadio umano — mah... me ne sono accorto due partite dopo».

Non è vero, non è indifferen­te. Vuole solo lanciare un messaggio: «Cosa vogliamo pretendere con 17 mila abbonati? Ce ne vorrebbero 28 mila per sentire la differenza». Il signore più anziano e mingherlin­o subito dietro non è d’accordo: «A me il tamburo mi scatena l’istinto animale. Me lo tira fuori gagliardo». Qualcuno magari pensa che il calore del tifo dovrebbe essere proporzion­ato al valore della squadra: «Questi c’hai, questi ti tieni. T’avessi Messi e Cristiano allora...» Ma poi segna Chiesa e tutto cambia. Tranne la musica. Quella è sempre la stessa.

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Lo striscione del viola club «Unoduenove­sei» che occupa la parte centrale della Curva Fiesole dove, fino a qualche anno fa, si posizionav­a il Collettivo Autonomo Viola A destra alcuni dei tamburi che i viola club hanno ritirato fuori dopo la fine del...
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