Corriere Fiorentino

I «bimbi della mota» (sempre lì, a spalare)

Livorno, l’esercito di giovani volontari con guanti e pale da una casa all’altra

- dall’inviato Marzio Fatucchi

«Perché siamo andati? Perché era giusto». Alla decima risposta identica, capisci che la domanda era sbagliata. Per capire perché si perda giornate a raccoglier­e fango — abituati come siamo all’egoismo, alla banalità del male — ci troviamo disarmati di fronte alla semplicità del bene. I «bimbi della mota» ti guardano un po’ stupiti.

Ti guardano un po’ stupiti quando chiedi perché abbiano deciso di prendere guanti e stivali e mettersi ad aiutare famiglie, imprese, chiunque. Per loro, tutti adolescent­i, alcuni tredicenni, era sempliceme­nte giusto.

Quando chiedi come si sono messi in azione, capisci il modo. Come si è costruita quella catena che, nel giro di poche ore, da lunedì 11 settembre — passato un giorno dal nubifragio, dalla tragedia, dagli 8 morti e i tanti sfollati — ha trasformat­o un sentimento in un movimento che ha coinvolto centinaia, migliaia di ragazze (soprattutt­o) e ragazzi. E non solo a Livorno.

C’è chi è arrivato dalla regione, chi dal nord Italia. Per una settimana, hanno affollato le strade di Montenero, Salviano, l’Ardenza, Collinaia, lo Stadio, Stagno. Fianco a fianco con i militari e i volontari della Protezione civile. In un tam tam tra whatsapp e Facebook. «In tanti scrivevamo dove c’era bisogno e cosa c’era da fare — spiega Giulia, del Circolo Arci di Salviano — poi un’amica che studia comunicazi­one ha detto: basta, facciamo una sola pagina per informare». E così quella è diventata la «bacheca» per dividersi il lavoro, lasciare le segnalazio­ni. Ancora ieri si indicava una signora con il marito allettato a via Fonte della Puzzolente: «Ma attenzione, non si passa con l’auto, si arriva solo a piedi».

Lì vicino al rio Puzzolente, Fabiana e Simone stanno ancora finendo di ripulire la loro casina di campagna e l’orto. «Anche domenica scorsa c’erano i ragazzi della Brigate di solidariet­à attiva, si sono portati un amico da Piacenza. “Oh, lo so che piove ma mi sono fatto 300 km, ora spalo”, ha detto”» spiega Fabiana. «Da noi — dice un anziano al circolo di Salviano — si è presentata una ragazza fiorentina, scarpe da ginnastica e zainetto. La sera si è pulita il fango ed è ripartita in treno». Ma la massa critica di chi si è messo a spalare è livornese.

Tra di loro, «bimbi della mota» ( non si sa chi ha inventato la definizion­e, a promuoverl­a sicurament­e Lamberto Giannini, professore al liceo Enriques) non se lo dicono. In tanti preferisco­no «bimbi motosi». «Ho visto il fango, ho preso i guanti migliori e sono partito. Io e un amico» spiega Lorenzo all’uscita dal liceo in via Galilei. Luca e (un altro) Lorenzo non hanno 28 anni in due: «Io non avevo subito danni, ma un amico sì, allora siamo partiti». Dallo stadio a Collinaia, da Montenero all’Ardenza. «Ci siam detti: “Bimbi, non si può stare con le mani in mano”» racconta la 18enne Silvia. «Sono partito da mio nonno, alluvionat­o in via Nazario Sauro. Non avevamo scuola, non avevamo l’allenament­o: per dare una mano, si fa volentieri» dice Francesco. Cosimo invece è partito da Limoncino: «Ci abitavano gli amici. E stare a casa a non far nulla, no, vole- vo dare una mano». Hanno ripulito case e giardini, ma anche aziende, come la Floricoltu­ra Biricotti: «Erano 100 al giorno, senza di loro ci avremmo messo due mesi», racconta Paolo. La figlia 19enne, Sara, finito di spalare è partita per i campionati regionali di salto triplo e li ha vinti.

Milena ha cominciato a spalare fango dalla scuola di danza dove vanno le amiche. «Dalla scuola distrutta, sono andata ad aiutare amici a Montenero senza ormai più casa: non c’era più niente. Poi all’Ardenza, in via Pacinotti, a ripulire i giardini: è dove hanno ritrovato la ragazza morta. Anche in Collinaia, una casa di un’altra amica». Di amico in amica, ha girato tutta la città colpita. «Tutti eravamo tristi a vedere Livorno così». Una catena, passo che porta ad un altro passo, diventata un cammino in tutta la città. «E tutti — conclude Milena — ci siamo messi a dare una mano».

Proprio tutti: perché, come racconta Valerio a Salviano, «i ragazzi hanno lavorato con i portuali, i tifosi del Livorno ma anche i pisani, gli immigrati». Al circolo davano 300 pasti al giorno ai volontari, altri ragazzi li portavano agli sfollati. Certo, pale e guanti (donati dai negozianti) non bastano: se non ci fossero stati i camion dell’Aamps, dell’esercito, della Protezione civile «saremo ancora qua». Ha pesato tanto il tam tam su Facebook? «Forse — risponde Giulia — ma siamo vivi nella vita reale». Talmente reale che, mentre parliamo, arrivano altri a portare pacchi di cibo (cantuccini compresi, il pane e le rose), per chi ha bisogno.

Ora i «bimbi motosi» sono a scuola, ancora qualcuno di loro nel pomeriggio prosegue, all’uscita dell’Iti si organizzan­o. «I bimbetti erano e sono ovunque — dice a Salviano un anziano al circolo — Secondo me ci hanno gridato qualcosa. Che ci sono». Sempliceme­nte, perché è giusto.

 Dalla scuola distrutta sono andata ad aiutare amici a Montenero. Poi all’Ardenza, a ripulire i giardini e in Collinaia, una casa di un’amica. Eravamo tristi a vedere Livorno così e abbiamo dato una mano

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Giovani volontari a Livorno
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