Corriere Fiorentino

Il caffè di Giuliano

Tommaso Lanni, in servizio da 15 anni: «Tante donne vogliono licenziars­i»

- Giorgio Bernardini

«Molte giovani donne, la maggior parte assunte da poco, si mettono a piangere perché non sanno come fare ad andare avanti: si vogliono licenziare». Tommaso Lanni, di Dicomano, ha 43 anni. Da 15 fa il capotreno e raccoglie spesso gli sfoghi delle persone che come lui si trovano quotidiana­mente a «combattere», per usare le sue parole, sui convogli della rete toscana. È capitato a lui stesso di essere aggredito, già in due occasioni è dovuto ricorrere alle cure del personale sanitario per riparare ai danni fisici dell’aggressivi­tà dei passeggeri: «La cosa che ci colpisce di più è che, come nel caso avvenuto domenica a Prato, ad assalire sono giovani italiani. Ci sono aggressori di tutti i tipi, ma noi lo abbiamo imparato: i ragazzini sono i più pericolosi».

Lanni spiega che le difficoltà di indossare la divisa sul treno sono innanzi tutto psicologic­he e che le condizioni peggiorano di anno in anno. «Il problema di un capotreno è innanzi tutto che fa dei turni molto difficili. La normativa di lavoro, dal 2003, è molto peggiorata: mattine presto, notti, pernottame­nti fuori. È già abbastanza difficile così, ma come se non bastasse ci siamo resi conto che negli ultimi tempi siamo divenuti il capro espiatorio delle rivalse e dei malfunzion­amenti della rete ferroviari­a e dei treni: le aggression­i fisiche sono la punta di un iceberg». Insulti, risposte di grave maleducazi­one, sfide, minacce. Il campionari­o è vasto. «Io sono preoccupat­o soprattutt­o per le tante donne assunte negli ultimi anni, che vengono regolarmen­te offese in modo becero. Molte di loro, nonostante la carenza di lavoro di questi anni, stanno cercando di licenziars­i anche dopo pochi mesi di servizio».

Dei circa 500 capitreno che lavorano sui regionali — i più a rischio per le aggression­i — le donne sono circa il 30%. «Chi è all’inizio della carriera il lavoro lo affronta di punta, ma l’esperienza ed il tempo insegnano che le regole vanno associate al buonsenso. Diventa sempre più difficile però gestire le condizioni. Secondo me la cosa fondamenta­le sarebbe di avere la certezza che nell’arco di pochi minuti ci possa essere qualcuno che viene ad aiutare chi è in difficoltà: nel caso di Prato, per esempio, a distanza di giorni non hanno nemmeno identifica­to la giovane che ha sferrato calci e pugni alla mia collega. Questo è grave. Prima o poi statistica­mente qualcuno morirà in conseguenz­a di una di queste violenze». Ma lo sciopero che ieri ha messo in ginocchio il trasporto pubblico, dunque, è anche contro gli utenti? «Noi chiediamo sicurezza, sappiamo che ha dei costi, ma lo Stato deve fare qualcosa, è un tema di educazione civica. Ad esempio bisognereb­be formare i giovani nelle scuole al rispetto di controllor­i e capitreno e fare lo stesso con gli immigrati. Le persone che controllan­o vanno rispettate».

Sui regionali ci sono solo due persone della rete ferroviari­a: il macchinist­a, che ovviamente non interagisc­e con i viaggiator­i, ed un capotreno. Raddoppiar­e il personale sui vagoni potrebbe essere un deterrente importante, infatti è una delle rivendicaz­ioni degli scioperant­i. Lanni, come detto, è stato aggredito due volte, denunciand­o in entrambi i casi. La prima volta una persona che aveva un biglietto di seconda classe e viaggiava in prima: «Mi ha spinto, fu condannato, ma in appello arrivò la prescrizio­ne». La seconda volta alla stazione di Chianciano. «Un giovane mi ha dato una testata, era alterato, non gli avevo nemmeno chiesto il biglietto: scese a Chiusi e non fu mai identifica­to, come nel caso di Prato non c’era la Polfer».

Sono stato vittima di due episodi: una volta fui spintonato, l’aggressore fu condannato ma poi arrivò la prescrizio­ne. Un’altra fui colpito con una testata, ma non c’era la Polfer è il delinquent­e non fu mai identifica­to

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