PRIVILEGI FINTI, PRIVILEGI VERI (VITALIZI E PENSIONI)
Con provvedimento retroattivo vogliono che siano aboliti i vitalizi, che per l’appunto si fondano sul sistema retributivo ben più vantaggioso in termini economici rispetto all’altro, anche per gli ex parlamentari e per quelli in carica per gli anni antecedenti al 2012. È il caso di dire che ciò che non fecero i barbari lo stanno facendo i Barberini. Ossia il Pd. Così Matteo Richetti, opportunamente stimolato dal Matteo maior, cioè Matteo Renzi, tanto ha fatto e tanto ha detto che alla fine l’assemblea di Montecitorio il 26 luglio scorso ha approvato la sua proposta di legge che, praticamente, sembra scritta sotto dettatura dei grillini. I voti a favore sono stati 348, i contrari appena 17 e 28 gli astenuti. È’ stata gettata la croce addosso ad Ap, che ha votato contro, all’Mdp, che si è astenuto, e a Forza Italia, uscita dall’aula. Ma qui il mondo va alla rovescia. Perché invece dovrebbero essere denunciati al tribunale dell’opinione pubblica i partiti che hanno votato a favore: Pd, M5S, Lega, Fdi e Scelta Civica. Infatti, comportandosi così, per quieto vivere non dicono la verità ai loro connazionali. I Cinque Stelle tengano bene a mente il monito di Abramo Lincoln: «Si può ingannare un uomo per tutta la vita, tutti per una volta, ma non si può ingannare tutti per sempre». Fatto sta che Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera nonché aspirante premier e capopartito, non lo sa. E continua, con un’insistenza degna di minor causa, a pescare nel torbido. Parla a vanvera di privilegi medioevali. Definisce tutti gli altri partiti animali morenti che arraffano il più possibile prima dell’arrivo di lorsignori. E dichiara di voler rinunciare al conquibus per i suoi ben sapendo che l’unico modo sarebbe stato quello di far dimettere tutti i neoparlamentari grillini prima della fatidica data del 15 settembre scorso. Per la cronaca, il solo che dette prova di coerenza fu il missino Enrico Endrich, che rassegnò le dimissioni da deputato nel 1954 perché non riteneva giusto che una missione degradasse a professionismo. Ma poi da che pulpito viene la predica. Di Maio prenda lezioni da Benedetto Croce, per il quale l’onestà in politica coincide con la professionalità. Approdato a Montecitorio grazie a una manciata di voti, non eccelle né in storia, né in geografia e ha in somma antipatia grammatica e sintassi. Ma, quel che è più grave, ignora o finge d’ignorare la giurisprudenza della Corte costituzionale. Il legislatore può, sì, approvare leggi con efficacia retroattiva. Purché siano salvaguardati valori fondamentali quali il principio generale di ragionevolezza e di uguaglianza. Insomma, tali disposizioni non devono trasmodare in un regolamento irrazionale, frustrando l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto. Ne consegue che un provvedimento come quello proposto da Richetti sarebbe conforme alla Costituzione solo a condizione che si applichi anche a tutti i dipendenti pubblici andati in pensione con il metodo retributivo. Avremmo il bel risultato che quanti oggi sono per il crucifige taglierebbero il ramo sul quale sono appollaiati. La ricetta salvifica è un’altra. Senza i collegi uninominali, il numero dei parlamentari potrebbe essere tagliato senza misericordia. Addirittura Hans Kelsen sosteneva che in uno Stato dei partiti ridotto alle estreme conseguenze potrebbero bastare i voti ponderati dei rispettivi capigruppo. Un paradosso, ma mica tanto. Se è vero che oggi i capigruppo come Nerone in aula mettono il dito all’insù per dire sì, all’ingiù per dire no e librano il palmo della mano a mezz’aria per invitare all’astensione. A questo siamo ridotti.